La condanna a morte venne emessa da parte del regime degli Ayatollah dopo una serie di interviste a radio occidentali in cui Parvaneh Majd Eskandari e il marito Dariush Forohuar - entrambi dirigenti da sempre del Partito Nazionalista dell’Iran - criticavano l’intromissione della religione nella vita legislativa e giudiziaria del Paese, denunciando gli abusi e la continua violazione dei diritti umani da parte del governo di Teheran e sottolineando come la condizione della donna in Iran, già subalterna ai tempi dello Scià, fosse ulteriormente peggiorata dopo la rivoluzione del 1979 che aveva portato al potere Ruhollah Khomeini.
In particolare, la coppia aveva denunciato, come faceva da anni, i Velayet-e-Faqih, i Guardiani della Giustizia Islamica, i pasdaran chiamati ad esportare in tutto il mondo l’islam e le sue leggi. L’omicidio della coppia avvenne la sera del 22 novembre 1998 all’interno della loro abitazione al 18 di Moradzadeh Alley, a Teheran. I corpi vennero trovati con numerose ferite da coltello. Il riconoscimento dei cadaveri venne fatto fare ai due figli, la maggiore Parastou e suo fratello Arash. Ai due venne impedito di rimanere in raccoglimento con i propri cari o di far ritorno a casa per oltre una settimana. Parastou Forouhar ha in seguito raccontato che i servizi segreti avevano perquisito a fondo la casa e che dell’archivio dei genitori, mai più restituito alla famiglia, non vi era più traccia. Malgrado molte dichiarazioni di facciata, gli esecutori materiali dell’omicidio non vennero mai trovati e il processo non venne mai celebrato.
L’omicidio di Pavaneh Majd Eskandari è stato solo l’ultimo atto di una vita passata tra carcere e restrizioni per l’attivista iraniana, oppositrice dapprima del regime di Rehza Pahlavi e poi di quello degli Ayatollah. Nata da una famiglia della piccola borghesia progressista di Teheran, Pavaneh Majd Eskandari si iscrisse alla facoltà di Lettere dell’Università cittadina. Nell’ateneo incontrò Homa Darabi, l’intellettuale e femminista iraniana che si diede fuoco per protesta il 21 febbraio 1994, urlando “Donna, vita, libertà”, grido riecheggiato con forza anche nelle proteste iniziate a settembre 2022 a Teheran, dopo l’uccisione di Mahsa Amini.
Pur frequentando due facoltà diverse - Homa Darabi era iscritta a Medicina - le due donne legarono molto e si confrontarono sulla condizione femminile nel Paese, sottomessa da un regime rigidamente maschilista e patriarcale come quello dello Scià. Insieme, entrarono a far parte del Centro Culturale e Politico Anahita, che sostiene il Partito Nazionale Iraniano, la principale organizzazione politica di opposizione. Le due donne - le prime a militare nel partito - si batterono, soprattutto, per il riconoscimento della parità femminile nel Paese e per la salvaguardia dei diritti umani, calpestati da una feroce monarchia. Accanto a loro si schierò anche uno dei fondatori del Partito Nazionale Iraniano, Dariush Forohuar, anch’egli proveniente dalla stessa università delle due attiviste.
Il 23 aprile 1961 Parvanesh Eskandari sposò Dariush Forohuar, undici anni più vecchio di lei. Poco dopo, Parvanesh iniziò ad insegnare Storia in un liceo della capitale. La coppia ebbe due figli, Parastou - che oggi vive in Germania ed è una affermata artista figurativa, oltre che attivista per i diritti umani in Iran - e Arash, oggi manager in una società di Londra e anch’egli custode della memoria dei genitori. L’attività politica della coppia non passò inosservata. I due vennero arrestati più volte con diversi capi d’imputazione, dietro i quali vi era solo il tentativo di soffocare due tra le voci più importanti che si battevano contro il regime di Rehza Pahlavi. Nel 1966, per il quinto anniversario del loro matrimonio, mentre il marito era in carcere, lei gli scrisse: «Non ti lascerò mai, anche se mi facessero a pezzi».
Il regime nel 1970 le tolse la cattedra e la possibilità di insegnare. Da allora fino alla morte, Parvaneh Forohuar, relegata nel frattempo al ruolo di semplice consigliere accademico, non fece altro che aumentare il proprio impegno politico, insieme a quello del marito. Uno spiraglio sembrò aprirsi dopo la fuga dello Scià nel 1979, quando Darius Forohuar divenne ministro del Lavoro nel governo di transizione di Mehdi Bazargan. Incarico da egli ricoperto dal 29 settembre al 6 novembre, quando Ruhollah Khomeini fece ritorno dal proprio esilio parigino e per il Paese si aprì una nuova era, se possibile, ancora peggiore di quella precedente. In diversi scritti, Parvaneh Forohuar e il marito si batterono affinché l’Iran potesse diventare una democrazia.
Chiesero la separazione tra lo Stato e la religione, esattamente il contrario di quanto avvenuto con l’ascesa del khomeinismo. I due criticarono anche la struttura accentratrice delle istituzioni statali nella Repubblica islamica, responsabile di una pericolosa concentrazione del potere che avrebbe reso molto difficili le riforme, in particolare quelle costituzionali. Il regime li represse con forza: il carcere era un’opzione pressoché quotidiana per i due attivisti.
Con la relativa apertura dello spazio pubblico alla fine degli anni '90, il loro sforzo costante e le loro idee attirarono gruppi di studenti, anch’essi sostenitori di ideali democratici. Ciò infastidì ulteriormente i Guardiani della Rivoluzione. Quando poi la loro voce fuori dal Paese si fece ancora più forte, amplificata da una serie di interviste a media occidentali, il regime decise di sbarazzarsi di loro. A seguito del duplice omicidio, avvenuto il 22 novembre 1998, le indagini vennero velocemente insabbiate e sommerse da una montagna di confuse e contraddittorie dichiarazioni.
Dopo altri due omicidi politici avvenuti il 14 dicembre, quello dei due oppositori al regime Mohammad Mokhtari e Mohammad Ja’far Puyandeh, il presidente iraniano Mohammad Khatami disse che ci si trovava di fronte a «crimini repellenti», opera di «assassini seriali». L’annuncio fatto dal Ministro dell’Interno a gennaio dell’anno successivo, secondo cui i responsabili degli omicidi erano stati individuati, arrestati e già sottoposti a processo, fu solo l’ultimo dei depistaggi intentati prima che la giustizia iraniana coprisse con il suo velo di menzogne l’annientamento dei suoi oppositori in quanto tali.
Malgrado il clima instaurato dal regime, al funerale della coppia parteciparono migliaia di uomini e donne, riunitisi spontaneamente nonostante la massiccia presenza dei servizi di sicurezza.
Parvaneh Majd Eskandari è sepolta accanto al marito Dariush Foruhar nel cimitero Behesht-e Zahra della capitale iraniana. A pochi passi c’è la tomba della loro amica Homa Darabi. Ogni commemorazione di Parvaneh Majd Eskandari, del marito e della loro amica è ancora oggi vietata dalla Polizia Morale.
Fabio Poletti, giornalista, NuoveRadici.world