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Quattro anni senza Liu Xiaobo

di Francesco M. Cataluccio

Il 13 luglio del 2017, nel First Hospital of China Medical University di Shenyang, nel Nord Est della Cina, dove era stato tardivamente ricoverato, moriva di tumore al fegato il dissidente cinese Liu Xiaobo (1955). Il governo di Pechino negò a lui e sua moglie la possibilità di recarsi all’estero per ricevere cure mediche. Molti governi si erano messi a disposizione per il trasferimento all’estero e le cure mediche. Il 29 giugno Amnesty International e altri 153 Nobel per la pace avevano sottoscritto una lettera al presidente cinese Xi Jinping. Ma tutto fu inutile.

Liu Xiaobo era un professore di letteratura e aveva iniziato la sua attività di dissidente nel 1989, quando partecipò anche alle manifestazioni in piazza Tienanmen. Nel 1991 fu accusato di voler sovvertire il regime comunista cinese.

Quando morì, Liu Xiabo stava scontando una condanna a 11 anni di prigione, che gli erano stati inflitti per aver, nel dicembre del 2008, in occasione del Sessantesimo anniversario dell'adozione della dichiarazione universale dei diritti umani, sottoscritto e diffuso il manifesto Charta 08: il documento che, sul modello di “Charta 77” dei dissidenti cecoslovacchi, chiedeva il rispetto dei diritti umani e la democrazia in Cina.

La Charta 08 fu firmata da oltre 2.000 cittadini cinesi, seguiti successivamente da 300 tra intellettuali e attivisti che appoggiarono l'iniziativa pubblicando online il documento. Xiaobo venne arrestato, l’8 dicembre 2008: 2 giorni prima della pubblicazione del manifesto. Dopo mesi di prigionia gli inquirenti confermarono l'arresto e il 25 dicembre 2009, al termine di un processo durato 2 ore, lo condannarono per atti sovversivi contro il potere del popolo cinese.

La sua posizione di aggravò ulteriormente, agli occhi del potere cinese, l’anno successivo quando, mentre era già in prigione, gli venne assegnato, a Oslo, il Premio Nobel per la pace 2010 “per il suo impegno non violento a tutela dei diritti umani in Cina”.

Un uomo che quasi da solo, con l’appoggio della coraggiosa moglie Liu Xia, che dopo varie persecuzioni è oggi espatriata in Germania, è diventato il simbolo principale della lotta per il rispetto dei diritti umani in Cina. Come ha ricordato Sally Shetty, l’ allora Segretaria di Amnesty International: Liu Xiaobo per decenni, ha combattuto instancabilmente per far progredire i diritti umani e le libertà fondamentali in Cina. Lo ha fatto a dispetto della più implacabile e spesso più brutale opposizione da parte del governo cinese. Di volta in volta hanno cercato di ridurlo al silenzio e ogni volta hanno fallito. Nonostante gli anni passati a subire persecuzione, repressione e carcerazione, Liu Xiaobo ha continuato a battersi per le sue convinzioni. Anche se ci ha lasciati, tutto ciò per cui si è battuto perdura. Il più grande omaggio che possiamo ora tributargli è quello di continuare la lotta per i diritti umani in Cina e di riconoscere l’importante eredità che lascia dopo di sé. Grazie a Liu Xiaobo, milioni di persone in Cina e in tutto il mondo sono state ispirate a difendere la libertà e la giustizia contro l’oppressione”.

A Liu Xiaobo, e a sua moglie Liu Xia, è stato dedicato un albero nel “Giardino dei Giusti” sul Monte Stella a Milano.

Francesco M. Cataluccio, Responsabile editoriale della Fondazione Gariwo

13 luglio 2021

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