Una mattina di novembre del 2022 i russi fecero irruzione nel Centro di riabilitazione sociale e psicologica per minori di Stepanivka per portare via tutti i bambini. La città alle porte di Kherson viveva sotto il controllo delle truppe di Putin ormai da nove mesi e come tutti gli altri territori occupati doveva far fronte a un altro tipo di guerra, che non si combatte nelle prime linee: la deportazione dei minori verso la Russia. Quel giorno, le telecamere a circuito chiuso della struttura ripresero gli uomini dei servizi segreti russi, armati e a volto coperto, mentre chiedevano la lista dei minori presenti all’interno e perlustravano meticolosamente le stanze alla ricerca dei piccoli residenti. Erano certi di trovare decine di orfani pronti per essere trasferiti forzatamente in Russia. Ma di quei bambini non c’era più alcuna traccia perché il direttore del Centro, il 61enne Volodymyr Sahaydak, li aveva già messi in salvo alcune settimane prima. Ci era riuscito falsificando i loro documenti e affidandoli a una rete di educatori, impiegati e conoscenti che li avevano portati al sicuro superando i posti di blocco dell’esercito russo e facendoli passare come bambini dati loro in affido o in adozione. In alcuni casi, Sahaydak aveva persino contraffatto le loro cartelle cliniche per credere che fossero affetti da patologie gravi, rendendoli quindi poco appetibili per le adozioni forzate.
Muovendosi in condizioni estremamente difficili e correndo enormi rischi personali aveva messo al sicuro complessivamente cinquantadue bambini e ragazzi di età compresa tra i 3 e i 17 anni, orfani, abbandonati dai genitori o in affido temporaneo a causa delle difficili condizioni familiari. Gran parte del personale del Centro per minori di Stepanivka aveva lasciato la città all’inizio dell’occupazione. Sahaydak era stato uno dei pochi a restare. Dopo l’arrivo dei russi si è trasferito giorno e notte all’interno della struttura e, facendosi aiutare dai ragazzi più grandi e dai volontari che portavano cibo e rifornimenti dall’esterno, ha atteso per mesi nella speranza che venisse attivato un corridoio umanitario per evacuare i bambini dalla città. Ma col trascorrere delle settimane ha capito che nessuno avrebbe potuto tirarli fuori da quella situazione e ha deciso di organizzarsi da solo. “Conoscevo bene le storie dei minori portati via con la forza a partire dal 2014, dopo l’occupazione della Crimea e del Donbass”, ha spiegato in un’intervista alla Cnn. “La mia più grande paura era che anche i miei piccoli pazienti venissero portati via per essere sottoposti al lavaggio del cervello in Russia. Ero sicuro che, se non avessi trovato il modo di nasconderli, prima o poi sarebbero venuti a prenderli”. Così, insieme ai pochi collaboratori rimasti del suo staff, ha prima individuato una serie di famiglie rimaste nell’area sondando la loro disponibilità a fingere adozioni, poi ha imparato a usare Photoshop per falsificare i documenti dei bambini e consentire alle famiglie di superare i posti di blocco delle truppe di occupazione. Ma spostarli dal centro e mandarli in luoghi sicuri non è stato affatto facile. “Li abbiamo fatti uscire a piccoli gruppi, correndo ogni volta il rischio di essere scoperti”, ha raccontato sempre alla Cnn. Alcune famiglie della zona hanno accolto gruppi di tre o quattro bambini. Altri sono stati “adottati” dai collaboratori di Sahaydak, altri ancora direttamente da lui. Ma prima di poter trovare una soluzione per tutti, il direttore del centro di Stepanivka ha vissuto nella struttura con i bambini per mesi, quasi clandestinamente, cercando di non dare troppo nell’occhio. Alla fine è riuscito a salvarli tutti dalla deportazione, dall’indottrinamento, forse addirittura dall’arruolamento forzato, scrivendo una grande storia di coraggio che accende una luce di speranza in un mare di desolazione.
Purtroppo le cose sono andate diversamente in moltissimi altri casi. Alcuni mesi fa le autorità di Kiev hanno parlato di oltre 16mila minori rapiti e trasferiti forzatamente in Russia o nei territori occupati dall’inizio dell’invasione. Il Cremlino le ha definite “evacuazioni” necessarie per proteggerli e portarli lontano dai campi di battaglia. Ma gli organismi internazionali non hanno dubbi: quei trasferimenti forzati sono parte della strategia di Putin per distruggere l’identità ucraina. Gli investigatori delle Nazioni Unite hanno definito la deportazione e la naturalizzazione dei bambini ucraini da parte della Russia un crimine di guerra e hanno spinto la Corte penale internazionale dell’Aja, nel marzo scorso, a spiccare un mandato di arresto per il presidente Vladimir Putin e per Maria Alekseyevna Lvova-Belova, la commissaria per i diritti dei bambini della Federazione russa. La donna è sospettata di essere a capo di questo sistema di deportazioni e di aver supervisionato personalmente il trasferimento di centinaia di orfani dalle regioni dell'Ucraina controllate dalla Russia per farli adottare da famiglie russe. Anche l’Assemblea del Consiglio d’Europa ha chiesto di punire i responsabili dei trasferimenti forzati, sottolineando che le prove documentate di questa pratica coincidono con la definizione internazionale di genocidio. Se e quando vi sarà un processo contro Putin e Lvova-Belova per crimini di guerra, Volodymyr Sahaydak potrebbe essere uno dei principali testimoni dell’accusa.