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Wajahat Abbas Kazmi

Coraggioso attivista LGBTQ+, denuncia i matrimoni combinati in Pakistan

Wajahat Abbas Kazmi è nato nel 1985 a Lahore, in Pakistan. In Italia è arrivato nel 2000, quando aveva 15 anni, e sta ancora aspettando il riconoscimento della cittadinanza. A 18 anni la sua vita sembrava già segnata, come capita a tutti i pakistani della sua età. «I miei genitori avevano deciso per me la ragazza che avrei dovuto sposare. Non ho avuto la possibilità di dire no, il fidanzamento è durato sette anni e per me è stato molto complicato. Non sono etero, anche davanti alla ragazza più bella del mondo, mi fermo appunto perché è una ragazza. Avrei potuto scappare di casa, fare un colpo di testa, ma non l’ho mai fatto pensando che sarei potuto fuggire anche la sera prima del matrimonio. Ho preferito aspettare, conoscevo i miei limiti e nella cultura pakistana non è facile lasciarsi. Alla fine mi sono deciso e ho parlato coi miei genitori dicendo che non ero pronto a sposami. Mi hanno capito, magari non totalmente ma si sono sforzati, e hanno sciolto il fidanzamento con la ragazza senza dirle che ero omosessuale. Oggi sono un uomo libero».

Quel «no» al matrimonio combinato, anche se ancora non lo sapeva, avrebbe cambiato per sempre la vita di Wajahat Abbas Kazmi, oggi uno dei più importanti attivisti LGBTQ+ in Pakistan e in Italia, in prima linea contro i matrimoni combinati e nella difesa delle sue connazionali più giovani che, qui come nel suo Paese di origine, vorrebbero vivere all’Occidentale. «Giro le scuole in Pakistan incontrando centinaia di ragazzi. Nel mio Paese ho fondato un’associazione contro il delitto d’onore. Dopo la morte di Sana Cheema, la 25 enne italopakistana ammazzata a Brescia perché rifiutava le nozze combinate, ho lanciato la campagna "Verità per Sana" per far conoscere quello che era successo».

Il suo è un lavoro capillare. Conoscendo bene le due realtà - «Passo in Pakistan diversi mesi l’anno» - ha un quadro lontano da ogni semplificazione sui giovani del suo Paese. «Quelli arrivati in Italia o di seconda generazione sono più arretrati. Vengono spesso da zone rurali del Pakistan. O non conoscono il Paese di origine o sono molto religiosi. Dicono che con il mio lavoro non faccio altro che mettere in cattiva luce il nostro Paese. I giovani pakistani rimasti in patria sono invece più attenti e questo fa ben sperare».

La notorietà, o meglio il massimo riconoscimento del suo impegno, Wajahat Abbas Kazmi l’ha avuta quando ha girato il docufilm Allah Loves Equality (qui la versione integrale) per promuovere i diritti della comunità LGBTQ+ in Pakistan e in tutto il mondo musulmano. In Pakistan l’omosessualità è ancora reato. La legge che riconosce i diritti ai transgender, considerati il terzo sesso nella cultura islamica, è del 2017. «È stato difficile girare il film. Pensavo che nessuno volesse apparire con il suo volto. Invece ho trovato una comunità molto coraggiosa che non indulge in vittimismo né mendica la libertà».

In Pakistan i costumi sessuali erano molto liberi fino al XVII secolo quando sono arrivati gli inglesi, portatori di una cultura occidentale e cristiana legata a valori tradizionali. L’indipendenza, arrivata nel 1947, ha fatto poco. Le posizioni islamiche più radicali hanno portato a violenze, repressione e discriminazione sociale nei confronti della comunità LGBTQ+. Ma allo stesso tempo ha provocato una forte resistenza della comunità che cerca di autoaffermarsi. Si calcola che in Pakistan oggi ci siano 600-700 mila transgender. «Non esiste il pride, nessuno si definisce gay, sono termini occidentali. Da noi per definirci si usa la parola "khawajasira" in urdu». In questo film sostenuto anche da Amnesty International, che ha avuto importanti riconoscimenti internazionali e diverse proiezioni in Pakistan che hanno suscitato un grande dibattito, l’aspetto dei diritti viene affrontato senza vittimismi. Ma con la forza delle parole di Bubbli Malik, un’attivista transgender che come tante è voluta apparire a volto scoperto: «Ho capito di essere unica e importante nel mondo. Allah mi ha creato in un modo tutto suo». Il lavoro di Wajahat Abbas Kazmi non finisce qui. A breve uscirà un suo libro, in Italia e in Pakistan, contro la cultura dei matrimoni combinati e del delitto d’onore.

Fabio Poletti, giornalista, NuoveRadici.world

21 aprile 2022

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