Il Centro di documentazione Kazerne Dossin e quello sull'Olocausto e i diritti umani del Belgio custodiscono molte storie. Una delle più commoventi è quella di Simon Gronowski, che nel 1943, a 11 anni, fu rinchiuso con la famiglia nei quartieri generali dei nazisti a Bruxelles. Da lì, partì per Auschwitz con un convoglio di 1.631 ebrei.
Simon ricorda: "Ero nel mio piccolo mondo di boyscout e non capivo che cosa significasse la deportazione. Mi dicevo: 'Arrivederci Bruxelles, arrivederci Belgio, papà, la mia cara sorella, la mia famiglia e i miei amici'". Gli ebrei viaggiavano ammassati come bestie, con un solo secchio dove fare i bisogni per 50 persone, senza cibo né acqua.
Inoltre quel convoglio fu famigerato perché il 70% dei deportati fu eliminato all'ingresso nel lager e le donne restanti furono inviate al Blocco X per essere sottoposte a "esperimenti scientifici".
I partigiani belgi fermarono il treno
Ma qualcosa cambiò la sorte di Simon. Il treno fu anche l'unico nella storia della Shoah a essere fermato dai partigiani belgi. Il ragazzino fuggì in fretta e furia con dei soldi lasciatigli dalla madre e cercò di tornare a Bruxelles dove c'era ancora suo padre, ricoverato in ospedale. Sapeva di rischiare l'arresto, ma bussò alla porta di una famiglia dicendo che si era perso mentre giocava con gli amici.
Il poliziotto Jan Aerts mise Simon sul treno "giusto"
A quel tempo i belgi che non consegnavano gli ebrei alla Gestapo venivano condannati a seguirne la sorte. La signora che aveva aperto la porta quindi portò Simon al comando più vicino. Qui l'agente Jan Aerts intuì che il ragazzo proveniva dal treno per Auschwitz, ma non lo denunciò. Lo fece sfamare dalla moglie e lo caricò su un treno per Bruxelles, dove il piccolo rivide il padre, anche se i due furono di nuovo separati e vissero fino alla fine della guerra presso due differenti famiglie cattoliche.
Simon perse tutti i familiari tranne il padre
La madre e la sorella di Simon morirono ad Auschwitz. I partigiani che per qualche ora si erano scontrati con i tedeschi cercando di fermare il treno della deportazione furono fermati dai nazisti: Youra Livschitz andò incontro al plotone d'esecuzione, Jean Franklemon fu rinchiuso a Sachsenhausen fino al 1945 e Robert Maistriau fu internato a Bergen-Belsen sempre fino alla Liberazione ed è poi vissuto fino al 2008. Delle 233 persone fuggite dal convoglio con Simon Gronowski, 26 furono uccise quella stessa notte, 89 vennero di nuovo arrestate e 118 si salvarono.
Jan Aerts diventa Giusto e Simon testimone nelle scuole
Jan Aerts è stato riconosciuto Giusto fra le nazioni da Yad Vashem. Il padre di Simon, Leon, è morto pochi mesi dopo la fine della guerra. Il figlio ha continuato gli studi ed è diventato un avvocato sperando di potersi opporre a chi provasse di nuovo a disumanizzare e privare di tutto gli esseri umani. Non ha parlato della sua avventura finché lo storico Maxime Steinberg ha raccolto la sua testimonianza per un libro. Ora va a parlare da molti anni nelle scuole.
"Parlo di ciò che mi è accaduto in modo tale che voi proteggerete la libertà nel vostro Paese", dice ai bambini. "Voglio che voi sappiate che le parole più importanti sono 'pace' e 'amicizia'".
Il bambino che saltò dal treno per Auschwitz
salvato dai partigiani belgi e da un poliziotto
7 giugno 2013
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Dialogo e riconciliazione
tra vittime e persecutori sono i Giusti a parlare al futuro
Nel tessuto sociale lacerato di un Paese in cui è stato perpetrato un genocidio o altri crimini contro l'Umanità, è molto difficile, anche a distanza di anni, la ripresa di un dialogo per ricucire gli strappi e ricostruire una trama di convivenza civile tra chi appartiene al campo delle vittime - come i sopravvissuti o i familiari o i rifugiati e i loro eredi- e chi a quello dei persecutori, dei complici o degli indifferenti. A cui si aggiunge il ruolo primario dello Stato, dei suoi funzionari e governanti, che spesso cercano di negare l'accaduto e rifiutano di assumersi le responsabilità - pur evidenti - dei massacri. Solo la capacità di reazione e di ascolto di chi non si è piegato all'omologazione dei comportamenti nel gruppo dei persecutori e ha rifiutato di adeguarsi a condotte che la coscienza non approva, può garantire la ripresa di una comunicazione tra le parti che sappia coniugare l'esigenza della verità e l'assunzione di responsabilità con l'apertura al futuro e a una comune progettualità.
I Giusti sono gli unici ad avere le carte in regola per farlo.