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Le basi del dialogo tra ebrei e musulmani

Di Gabriele Nissim

Pubblichiamo di seguito l'intervento di Gabriele Nissim al convegno "Antisemitismo e islamofobia: due facce della stessa medaglia?" tenutosi a Milano il 4/7/2017

Diciamoci la verità. È molto raro vedere insieme ebrei e musulmani discutere di antisemitismo e islamofobia. Ciò può accadere soltanto in qualche parte d’Europa, perché in tutto il contesto mediorientale prevalgono i pregiudizi.

In troppi Paesi arabi gli ebrei sono visti con sospetto e l’aggettivo sionista, che viene legato alla parola ebreo, ha un valore dispregiativo. Inoltre il conflitto tra israeliani e palestinesi rende tale dialogo ancora più difficile.

Anche noi di Gariwo abbiamo incontrato molte difficoltà e grandi ostilità (a volte inconfessabili) quando abbiamo deciso di onorare dei musulmani al Giardino dei Giusti di Milano, come l’archeologo Khaled el Assad – il custode di Palmira trucidato dall’Isis -, Halima Bashir - una donna straordinaria perseguitata per la sua opposizione agli stupri in Darfour -, Samir Kassir – il giornalista libanese ucciso in un attentato a Beirut. La presenza della Comunità Ebraica alle cerimonie ha condizionato la partecipazione dei rappresentanti di queste figure esemplari.

Il dialogo tra ebrei e musulmani è pesantemente condizionato da simili fattori esterni. Non possiamo permetterci di ignorarli perché, come scriveva Primo Levi, non esistono isole separate nel mondo e rischiamo di pagarne pesantemente le conseguenze.

L’Europa, tanto bistrattata, ha comunque un grande pregio: offre un contesto di democrazia e di libertà che permette a ebrei e musulmani di trovare la forza per superare i pregiudizi e influenzare positivamente il dialogo all’interno dello stesso mondo mediorientale. Tale contesto può diventare il volano di una modernizzazione culturale nel mondo islamico e di un dialogo su nuove basi tra ebrei e musulmani. E’ questa la grande missione dell’Europa nel mondo, perché le nostre tradizioni, la nostra storia così travagliata, con le vicissitudini che abbiamo attraversato, ci hanno permesso di creare un modello di democrazia in grado di esaltare il pluralismo e di affrontare in modo pacifico i conflitti e il difficile rapporto tra Stato e religione.

C’è bisogno, tuttavia, che all’interno di ciascuna delle due comunità, si faccia chiarezza su cosa significa islamofobia e antisemitismo. Sia all’interno del mondo ebraico che di quello musulmano occorre un esame di coscienza per superare fobie e pregiudizi reciproci. Ognuno deve cercare di capire l’altro e non pensare che i torti esistano da una parte sola. Per questo è importante parlarsi senza paura e accettare con serenità l’eventualità di non essere d’accordo. È necessaria molta pazienza, buona volontà e apertura incondizionata al confronto.

Ma oggi che cosa significa islamofobia?

Poiché il pregiudizio nei confronti dei musulmani non è legato solo alla religione ma è più profondo, di tipo razzista, dobbiamo precisarlo meglio.

Islamofobia significa negare ai musulmani prima di tutto il diritto di vivere la propria religione, come fanno normalmente ebrei e cristiani. Assistiamo alla diffidenza verso la costruzione di moschee: ma dove dovrebbero pregare i musulmani? Nelle strade e nelle piazze? La religione raccoglie la ricerca di senso degli uomini e questo è un diritto sacrosanto. I credenti di tutte le fedi sono accumunati dal rapporto con Dio, che per un uomo in preghiera è più importante di qualsiasi precetto, luogo o rito.

In secondo luogo “islamofobia” esprime la paura, spesso alimentata dai populisti e dai profeti di sventure, che il mondo occidentale sia dominato dalla “Sharia” e sottomesso a una cultura integralista. Molti temono un ribaltamento dei nostri valori democratici e che i musulmani vogliano trasformare l’Europa in un nuovo califfato. Saremmo dunque condannati ad una “sottomissione”, come recita il titolo del libro di successo di Houellebecq, lo scrittore franceseche ha come estimatore il presidente americano Trump, il quale accusa l’Europa di farsi conquistare senza resistenza dagli islamici.

L’incubo più grande è quello del terrorismo. Ogni musulmano che arriva nel nostro Paese viene visto come un potenziale jihadista.

Devo dire la verità – e da ebreo lo posso confermare – che oggi in Europa è più difficile e problematico essere musulmano che essere ebreo. Se avete una barba e un accento arabo quando prendete posto sull’aereo vi guarderanno con sospetto. Se cercate lavoro avrete spesso la sensazione che tra un italiano ed un musulmano la scelta non sarà solo sul merito. È la stessa sensazione che ha un ebreo quando visita un Paese arabo. Io che mi chiamo Nissim - un nome molto riconoscibile nel mondo islamico - ogni volta provo un senso di inquietudine. Recentemente sono stato in Oman e la prima cosa che mi ha chiesto la guida era l’origine del mio nome. Non mi ha detto esplicitamente “tu sei forse ebreo?” ma ho subito percepito la sua sorpresa.

Cos’è invece l’antisemitismo oggi? 

Non basta ricordarne l’origine storica, poiché anche questo fenomeno, come ogni forma di razzismo cambia nel tempo. Come ho detto in precedenza, oggi l’antisemitismo, con varie gradazioni, attraversa tutto il mondo arabo ed islamico. È questa una grande novità dei nostri tempi. Certamente non tutti i Paesi sono uguali: ad esempio in Marocco, in Tunisia, in Giordania fortunatamente si respira un clima diverso, ma certamente i pregiudizi antiebraici (per non parlare di vero e proprio odio) sono molto forti in Iran, in Arabia Saudita, in Egitto. E’ quasi del tutto “normale” non stringere la mano a un atleta israeliano e molto difficilmente un artista o un intellettuale di origine ebraica viene invitato in questi Paesi.

Il fondamentalismo wahabita e la propaganda ideologica dell’Iran e degli Hezbollah hanno indotto ondate enormi di antisemitismo. Non è un caso che i terroristi dell’Isis considerino gli ebrei i peggiori nemici dell’Umanità. La crisi economica ha invece riportato alla luce vecchi fantasmi del passato. Spesso l’ebreo viene associato alle banche e ai poteri forti che farebbero gravare la crisi sui più poveri. E’ una vecchia litania che si ripresenta sempre, anche con parole non esplicite, equivoche. Molte forze populiste parlano di un potere sovranazionale che metterebbe a rischio la sovranità dei popoli.

E chi c’è dietro questi poteri, se non gli ebrei cosmopoliti?

Con il riemergere dell’etnocentrismo nei Paesi dell’Est - come ha ricordato l’ungherese Agnes Heller - gli ebrei sono visti come il nemico sovranazionale che apre la strada all’invasione dei migranti e alla contaminazione negativa delle identità nazionali. Alla fine sono accusati di volere un’Europa che soffoca le nazioni. È quasi un paradosso: in Polonia e in Ungheria sarebbero colpevoli di difendere l’identità “soffocante” dell’Europa.

Ma la colpa più grande che pesa sugli ebrei è di essere solidali con Israele. Nessuno contesta agli armeni di provare simpatia per l’Armenia, o alle comunità cinesi di amare la Cina. Agli ebrei, invece, si chiede sempre di condannare Israele, non per un giudizio negativo sul suo governo, ma perché si vuole negare la legittimità di questo Stato all’esistenza. Oggi si discute molto di Trump, ma a nessuno viene in mente di considerare gli Stati Uniti uno Stato illegittimo per le discriminazioni perpetrate verso i “pellerossa” o gli afroamericani. Non esistono nella storia dell’Umanità Stati completamente innocenti, proprio perché sono composti da uomini. Creare Stati colpevoli significa seminare odio e aprire la strada a pericolosi pregiudizi.

Questo è un punto importante da discutere nelle comunità musulmane, le quali, dovrebbero accettare il rapporto di simpatia che gli ebrei hanno verso Israele in base allo stesso principio che li fa essere sensibili alla condizione palestinese: una comprensione reciproca che potrebbe creare le condizioni per una conciliazione tra i due popoli e le due religioni.

E in Italia, su che cosa ebrei e musulmani devono dialogare per comprendersi meglio? Non basta confrontarsi sulle idee. Il modo migliore per capire meglio l’altro è impegnarsi per fare insieme delle “buone opere”.

Zygmunt Bauman nel suo libro Conversazioni su Dio e sull’uomo parla di una fusione di orizzonti che si realizza attraverso pratiche comuni. Per comprendersi, imparare l’uno dall’altro e cambiare i rispettivi punti di vista, è importante affrontare insieme le sfide del mondo.

Lo abbiamo scritto nella Carta delle Responsabilità 2017:la lotta al terrorismo, l’impegno per l’accoglienza contro gli egoismi nazionali che attraversano l’Europa e il rigetto dell’odio che ha invaso la politica dovrebbero vederci tutti uniti per un mondo plurale. Ci si comprende meglio quando si è consapevoli di dover affrontare lo stesso destino.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

5 luglio 2017

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