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Liu Xiaobo ricorre in appello

il suo calvario sullo sfondo dei mutamenti sociali

La Cina sta cambiando. È una società sempre più pragmatica e individualista, anche perché le nuove generazioni sono formate da figli unici. Benché con l'ultimo congresso del Partito Comunista le autorità si siano dette disposte ad allentare la cosiddetta "politica del figlio unico", la tendenza è sempre più quella di vivere all'occidentale, anche grazie all'imponente sviluppo economico degli ultimi anni che ha generato una classe di qualche centinaio di milioni di nuovi ricchi. 
La "politica del figlio unico" è il nome dato alla legge matrimoniale vigente in Cina, pensata per contenere la popolazione di una terra dalle carestie vaste e terribili. Tuttavia ha anche degli effetti perversi, come l'aumento dell'infanticidio femminile. Se il suo allentamento è accolto con favore dalla maggior parte degli osservatori, ciò non significa che la Cina sia diventata improvvisamente democratica. Si tratta di un cambiamento relativamente meno difficile per il regime, perché è nel campo della società e dell'economia dove i marxisti si sentono più forti e credono di poter muovere delle variabili per consolidare o mantenere il proprio potere. Diverso è il caso di chi lotta per i diritti umani

Ne sa qualcosa Liu Xiaobo, vincitore del Premio Nobel della pace sbattuto in galera con l'accusa di "sovversione" nel 2009 per avere sostenuto il progetto Carta '08 per una Costituzione democratica in Cina. Ora, dal fondo della sua cella, l'attivista e scrittore reagisce, presentando una richiesta d'appello motivata dal fatto che i suoi "atti di sovversione" - lo scrivere appelli e lettere - rientrano nella libertà d'espressione già sancita dalla Costituzione cinese, ovviamente su un piano formale. È un atto importante contro una condanna a 11 anni che sembrava averlo ridotto al silenzio.

Un'altra situazione molto penosa è quella dei laogai. Il Congresso che si è appena tenuto a Pechino ha votato per abolire questi gulag famigerati entro il 2020, ma saranno rimpiazzati da comunità di rieducazione" e dunque non spariranno veramente. Sono 50 milioni, dall'ultimo imperatore Pu Yi all'attivista Harry Wu, che ha creato la Laogai Foundation dopo aver trascorso ben 19 anni ai lavori forzati, i cinesi passati attraverso questi "laboratori" dove il regime esprime al meglio il suo intento: ribadire, mentre pensa ai dati economici, che le libertà sono solo concesse e mai acquisite una volta per tutte. Le sofferenze causate sono veramente enormi, come prova la storia di Fu Yuxia documentata sul Corriere della Sera del 16 novembre 2013. La donna, finita nel laogai per essersi inimicata la famiglia di un importante funzionario di partito, per le torture subite ha perso un figlio e oggi è costretta a reggersi sulle grucce.

21 novembre 2013

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