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I viaggi di CSEO in Cecoslovacchia

le strutture cattoliche clandestine

Uno dei Paesi in cui CSEO, fin dagli anni Sessanta, sviluppò una fittissima rete di rapporti di grande valore culturale e religioso, è la ex Cecoslovacchia. Nonostante probabilmente fosse la nazione in cui la repressione del regime rivelava il suo volto più brutale e pervasivo, scoprimmo, non senza sorpresa, che in alcune case di Praga e Bratislava ferveva un’incredibile vita culturale e spirituale, che ci affascinò fin dai primi incontri e che contribuimmo in modo determinante a diffondere in Italia attraverso la rivista e la casa editrice.

Senza timore di esagerare credo di poter dire che negli anni ’70 e ’80 la Cecoslovacchia sia stata in Europa il luogo in cui la riflessione sull’uomo e la sua responsabilità, l’elaborazione del pensiero politico, filosofico e, in alcuni casi, teologico, hanno raggiunto il loro vertice più alto. Il pensiero di uomini come Václav Havel, Jan Patočka, Václav Benda, o padre Josef Zverina, solo per citare alcuni autori che noi consideravamo dei veri maestri, credo appartenga al patrimonio culturale più prezioso dell’Europa del XX secolo, ed è un grande merito di don Ricci e di CSEO averli portati e fatti conoscere in Italia.

I viaggi in Cecoslovacchia richiedevano un’attenzione ancora maggiore rispetto a quelli negli altri Paesi: i controlli alla frontiera duravano ore, erano minuziosi e a volte si svolgevano in un pesante clima intimidatorio, e anche nel Paese bisognava fare molta attenzione perché sapevamo di essere costantemente sotto l’occhio vigile dei servizi di sicurezza, al punto che i nostri amici ci facevano vestire con i loro abiti per non attirare l’attenzione con il nostro abbigliamento occidentale.

Sfogliando il catalogo di CSEO e i numeri della rivista, è veramente impressionante vedere quanti autori e quanti testi sono stati pubblicati fin dalla fine degli anni Sessanta: Il potere dei senza potere di Václav Havel, pubblicato da noi in anteprima mondiale, che inaugurò la collana degli Outprints, alcuni testi teatrali dello stesso Havel e le sue Lettere a Olga, scritte durante la carcerazione, i verbali del processo contro i membri del VONS e le loro autodifese, le Lettere dal carcere di Václav Benda”, la prima raccolta delle dichiarazioni di Charta ’77, La gioia di essere Chiesa e Il coraggio di essere Chiesa del teologo Josef Zverina e la sua Lettera ai cristiani d’Occidente, i Saggi eretici, sulla filosofia della storia di Jan Patočka, le Lettere ad un amico di Ladislav Hejdanek, solo per citare alcuni titoli, oltre a decine e decine di articoli.

Cominciai a recarmi regolarmente a Praga e Bratislava all’inizio degli anni Ottanta. Il clima era veramente molto pesante. Rispetto alla Polonia degli stessi anni c’era un certo benessere economico: i negozi erano ben forniti e si vedeva che il livello di vita era abbastanza alto, però si percepiva anche la pervasività del controllo della polizia. Anche per questo cominciai a firmare i miei interventi su giornali e riviste con lo pseudonimo di Cecilia Elmi.

La bellezza mozzafiato di Praga era ferita da questa cappa di paura che aleggiava nell’aria e dal senso di avvilimento che si leggeva sui volti delle persone, al confronto la Varsavia degli stessi anni - ed erano gli anni dello Stato di Guerra - sembrava un’oasi di libertà, come mi disse un’amica: “Da noi si può mangiare e da voi in Polonia si può parlare”. Ricordo l’impressione che mi fece vedere un’auto senza targa e sentirmi dire che era un’auto della polizia segreta: mancava la targa perché qualora qualcuno fosse stato prelevato per la strada non ci sarebbero stati appigli per identificare gli autori del rapimento.

La Cecoslovacchia ha pagato un altissimo tributo di sofferenza e, in molti casi, di sangue all’ideologia comunista. Fin dall’immediato dopoguerra, infatti, le repressioni furono durissime, in particolare contro la Chiesa cattolica: l’arcivescovo di Praga Josef Beran rimase in campo di concentramento dal 1949 al 1963, e la maggior parte dei vescovi céchi e slovacchi seguì la sua stessa sorte, mentre le diocesi vennero affidate a vicari generali obbedienti al regime.
Nell’aprile 1950 furono chiuse tutte le strutture della Chiesa greco cattolica, e nello stesso periodo fu dato l’avvio alla cosiddetta “Azione K”, che portò alla chiusura di tutti i monasteri e conventi maschili e più di 2.000 monaci furono rinchiusi in campo di concentramento. Pochi mesi dopo, l”Azione R” colpì i monasteri femminili.
Al termine di processi farsa centinaia di laici e sacerdoti vennero condannati ad anni di carcere, senza dimenticare che repressioni molto dure toccarono anche i contadini, altri gruppi confessionali e alcuni attivisti comunisti.

Tra il 1956 e il 1961 il numero di persone colpite da provvedimenti repressivi passò da 6.261 a 13.165, mentre tra il 1955 e il 1969 circa 55.000 persone furono incarcerate per motivi politici, e venne fatto anche un uso repressivo della psichiatria, come avrei avuto modo di costatare di persona durante uno dei miei viaggi.

Le persecuzioni per motivi religiosi e i sempre più stringenti controlli dello stato sulle strutture della Chiesa portarono alla creazione delle prime strutture clandestine della Chiesa cattolica: si trattava di sacerdoti e vescovi ordinati clandestinamente, cioè senza i necessari permessi dell’Ufficio per gli Affari Religiosi, e quindi per ciò stesso fuori legge ed impossibilitati ad esercitare il loro ministero apertamente. In altri casi erano sacerdoti cui era stata revocata la “licenza” di esercizio delle funzioni sacerdotali perché non accettavano di aderire alla “Pacem in Terris”, l’organizzazione governativa del clero, di fatto una quinta colonna del regime all’interno della Chiesa.

Annalia Guglielmi

Annalia Guglielmi, esperta di Polonia ed Europa dell'Est

4 giugno 2015

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