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​Milada Horáková: il coraggio della libertà

di Andreas Pieralli

Dopo la reintroduzione in Turchia della pena capitale per punire i fautori, o presunti tali, del golpe di luglio, vale la pena sottolineare quante vittime di questo strumento di vendetta ed epurazione politica macchino la storia d’Europa. Poco tempo fa, ad esempio, con una cerimonia commemorativa la Repubblica Ceca ha ricordato il 66° anniversario dell’esecuzione di Milada Horáková, l’avvocatessa deputata socialista che si era battuta per i diritti delle donne per poi partecipare, durante la guerra, alla lotta partigiana antinazista.

Irriducibilmente critica dell’orientamento post bellico del Paese verso l’Unione Sovietica, la Horákovánon si rassegnò al potere crescente del partito comunista cecoslovacco né alle pratiche criminali delle Milizie popolari. Non tacque nemmeno dopo il colpo di stato del febbraio 1948, e questo le costò l’interessamento della famigerata StB, la polizia segreta cecoslovacca. Arrestata il 27 settembre 1949 e sottoposta più volte a tortura, nel giugno dell’anno seguente fu vittima di un processo politico, reso pubblico dal presidente comunista Klement Gottwald su modello delle purghe staliniane degli anni ’30, che la condannò - unica donna insieme ad altri tre politici - alla massima pena per alto tradimento e spionaggio. Durante il processo l’ex deputata dimostrò una statura morale assolutamente fuori dal comune criticando apertamente il regime comunista e difendendo i propri ideali e quelli della Prima Repubblica Cecoslovacca di T.G. Masaryk, tanto da essere considerata oggi uno dei simboli della resistenza al totalitarismo.

A nulla valsero le preghiere di personalità importanti quali Winston Churchill, Eleanor Roosevelt e Albert Einstein. L’esecuzione ebbe luogo nelle prime ore del mattino del 27 giugno 1950 nel cortile del tristemente celebre carcere di Pankrác a Praga. La Horáková affrontò con coraggio e dignità la propria fine, rifiutandosi di chiedere in extremis la grazia al presidente Gottwald. Dal 2004, il 27 giugno viene ricordato in Repubblica Ceca come la Giornata della memoria delle vittime del regime comunista. Complessivamente furono 248 le vittime capitali dei processi politici, mentre 8000 persone morirono in carcere e 450 nel tentativo di superare la frontiera verso il mondo libero. Per motivi politici sono stati condannati circa 205.000 cittadini mentre 20.000 furono mandati nei campi di lavoro forzato senza un processo. Tra il 1948 e il 1987 quasi 171.000 persone riuscirono a fuggire dalla gabbia cecoslovacca.

Durante la cerimonia, che si tiene nel luogo dove la Horáková fu giustiziata per impiccagione, ricordato da una grande croce di legno, il sottosegretario alla Giustizia ceco Petr Jäger ha dichiarato: “Dopo il Febbraio 1948 il sistema politico consentì ai suoi rappresentanti di decidere con incredibile crudeltà il destino di interi gruppi di cittadini e individui che non erano disposti ad accettare il totalitarismo. Permise agli esponenti di questo regime criminale di decidere chi fosse “nemico del popolo“ e quindi anche traditore della patria.“ Parole tristemente attuali, alla luce delle notizie che ci arrivano dalla penisola anatolica.

Bene ha fatto l‘Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini, allora, a dichiarare in modo categorico che “nessun Paese può diventare stato membro dell'UE se introduce la pena di morte, questo è chiaro nell'acquis comunitario”. Molte, forse troppe volte l’Europa è stata ambivalente nel pretendere dai propri partner il rispetto dei diritti umani quando ciò ostacolava in qualche modo gli interessi commerciali in gioco. Si spera, dunque, che almeno sull’assoluta incompatibilità di questa barbarie con le conquiste della civiltà europea non vi sia alcun dubbio.

Andreas Pieralli, giornalista e traduttore

30 agosto 2016

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