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Papa Wojtyła e la nuova speranza della Polonia

l'attenzione del mondo si sposta sui Paesi dell'Est

Nel 1979, un anno dopo l'elezione di Papa Wojtyła, insieme a un amico tornai in Polonia per partecipare all’annuale incontro dei responsabili del Movimento “Luce e Vita”. Ma quello fu anche un viaggio attraverso tutto il Paese: andammo a Cracovia, Varsavia e Lublino, perché dovevamo ritirare dei testi per la casa editrice e portarli in Italia.
L’elezione del Papa polacco aveva già cominciato a scalfire la crosta della paura: c’era un orgoglio nuovo nei gesti e nelle parole dei nostri amici e la consapevolezza che si era spezzato l’isolamento cui erano stati condannati fino a quel momento i Paesi dell’Europa dell’Est aveva rinvigorito tutti coloro che si opponevano al sistema, cattolici e non. Tutti ripetevano, facendole proprie, le parole pronunciate da Giovanni Paolo II durante la Messa per l’inaugurazione del Pontificato: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura!”. Quel “Non abbiate paura!” risuonava come un’esortazione ai governanti dei regimi totalitari a non temere e non combattere la dimensione spirituale dell’uomo, ma era anche un invito ai popoli, a non temere di difendere la propria libertà, era come se si fossero sentiti dire che adesso c’era chi li proteggeva, chi si faceva carico della loro esperienza, chi li accompagnava nella loro quotidiana lotta. E in effetti, la realtà dei Paesi di oltrecortina si era improvvisamente imposta all’attenzione di tutto il mondo, e già questo era una forma di tutela, come si vedrà negli anni seguenti. Grande era anche l’attesa per l’annunciato pellegrinaggio di Giovanni Paolo II in patria, previsto per il mese di giugno. E grande era la preoccupazione delle autorità di governo.

Dice nella sua testimonianza Aleksander Kwasniewski: “(…) L’apparato di partito era convinto che «in qualche modo saremmo riusciti a sopravvivere» alla prima visita del Papa in Polonia nel 1979, e che «in qualche modo saremmo riusciti a sopravvivere» anche allo stesso Giovanni Paolo II. Tutte le discussioni sulla data, il percorso, i luoghi della visita, le ingerenze della censura sono state un enorme errore, il segno della nostra incomprensione del paese, del nostro essere assolutamente lontani dallo stato d’animo della società. Del resto questa situazione ha affossato coloro che avevano preso quelle decisioni. Il Papa si rivelò essere il vincitore. Le decisioni prese in quel momento, da quelle persone, sono solo motivo di vergogna. Non hanno fermato nessuno dei processi che dovevano avvenire in seguito. Avevano paura che il Papa avrebbe radunato migliaia di persone, che avrebbe risvegliato lo spirito della nazione, lo spirito di libertà, che avrebbe rafforzato l’opposizione. Tutti i loro timori si sono avverati, ma si trattava di un processo ineluttabile. Non solo questo processo corrispondeva alle aspirazioni dei Polacchi, ma aveva trovato un grande promotore nella persona del Papa. Se il Papa era una minaccia per qualcuno, era solo perché diceva la verità: libertà invece che schiavitù, l’uomo e non il collettivismo, libertà di confessione religiosa, tolleranza”.

L’elezione di Giovanni Paolo II ebbe un risvolto determinante anche per la mia vita: il professor Kloczowski e il gruppo di storici dell’Università Cattolica di Lublino nel 1979 riuscirono ad ottenere dalle autorità il permesso di istituire un lettorato di italiano per docenti e studenti. In realtà quel lavoro era una proposta rivolta al gruppo di CSEO, così che uno di noi, avendo la possibilità di vivere per un anno intero a Lublino, potesse diventare un “esperto” di Polonia, imparandone la lingua, la letteratura e la storia e potesse allargare ed approfondire la pur già ricca rete di rapporti, vivendo insieme ai nostri amici non da visitatore occasionale e a breve termine, ma condividendo in pieno la vita del socialismo reale.

Quando don Ricci me lo propose accettai senza esitazioni, con l’incoscienza tipica dei vent’anni, anche perché non sapevo una parola di polacco e non avevo idea di come sarebbe stata la situazione lavorativa che avrei trovato.
Presi cinque lezioni di polacco, quel tanto che bastava per farmi comprendere la difficoltà di quella lingua e convincermi che non sarei mai riuscita ad impararla e a settembre del 1979 partii per quello che definii “un salto nel buio”.

Annalia Guglielmi

Annalia Guglielmi, esperta di Polonia ed Europa dell'Est

4 settembre 2014

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