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​Una storia d’amore, sport e dissenso

di Joshua Evangelista

Il 20 agosto 1968, circa 4600 carri armati provenienti dai paesi del Patto di Varsavia fecero il loro ingresso a Praga. Finiva così la Primavera guidata da Dubček e avallata dal “Manifesto delle duemila parole” sottoscritto, tra gli altri, da una coppia di celebrità cecoslovacche: Emil Zatopek e sua moglie Dana, nata Ingrova. 

Dana fu una giavellottista eccezionale, mentre suo marito Emil, come scrisse il Times di Londra, è stato “uno dei più grandi che abbiano mai corso su una pista”. Ma per entrambi la vittoria più importante è stata, probabilmente, quella di sopportare l’oblio e le discriminazioni a cui il regime li costrinse per il loro impegno civico.

I motivi per cui l’unione tra Dana ed Emil è unica nella storia sono molteplici. In una vita insieme hanno fatto la rivoluzione, scritto la storia delle Olimpiadi e sfidato le maglie di un regime totalitario.

Eppure la coppia è entrata nella leggenda anche per le tantissime storie divertenti che generazioni di giornalisti sportivi hanno raccolto nel corso dei decenni. E che ora, dopo la morte di Dana, sono fondamentali per unire i pezzi di una storia probabilmente irripetibile.

Dana ed Emil si conobbero nel giugno del 1948. Emil tornava dalle gare di Zlìn, dove aveva surclassato tutti gli altri atleti. L’autobus fece una sosta a Lanžhot, dove a quel tempo viveva Dana Ingrova. Si incontrarono durante una festa e ballarono insieme, in un’epoca in cui ballare voleva dire impegnarsi in qualcosa di importante.

Se Emil era già famoso, il talento di Dana stava emergendo in tutta la sua classe. Prima di consegnarsi alla storia come giavellottista, fu un'eccezionale giocatrice di pallamano. Poi, durante il liceo, ebbe la possibilità di prendere un giavellotto in mano. Si dice che al primo lancio raggiunse i 34 metri. Una settimana dopo vinse il campionato nazionale cecoslovacco di lancio del giavellotto.

Tra Emil e Dana fu amore a prima vista, sigillato da una strana coincidenza: erano nati nello stesso esatto giorno del 1922. Una faccenda buffa, che destò tuttavia molte preoccupazioni nella madre di Emil: non era di buon auspicio che il figlio stesse con una donna potenzialmente nata prima di lui. Servirono i documenti anagrafici di entrambi per assicurarsi che Emil, nato a mezzanotte, fosse venuto al mondo qualche ora prima di Dana.

Nell'estate del 1948, poco prima della loro partenza per le Olimpiadi di Londra, Emil e Dana si incontrarono a Uherské Hradiště. Faceva molto caldo, ma invece di tuffarsi nel fiume Morava decisero di arrampicarsi sui rami di un tiglio in fiore.

Di quell’incontro Dana racconterà che le api ronzavano e loro, cercando di mantenersi in equilibrio tra i rami, di tanto in tanto si baciavano. “Eravamo felici. Almeno fino a quando Emil mi disse solennemente, senza preavviso: ‘E se ci sposassimo?’ Rimasi senza parole. Fino ad allora il nostro amore era divertente, fresco, senza problemi e senza doveri. Gli risposi che così non sarebbe stato più divertente. Ma lui replicò, molto seriamente: ‘Il matrimonio non deve essere per forza noioso o una galera’”.

E non si annoiarono mai durante i 52 anni di nozze, terminati nel 2000 con la morte di Emil.

Comprarono gli anelli durante le Olimpiadi di Londra ("Dopo tanti giorni di guerra, di bombe, di morte e di fame, il ritorno dei Giochi fu come il ritorno del sole”, racconterà in seguito Emil) in un’oreficeria nei pressi di Piccadilly Circus e si sposarono a Uherske Hradiste il 24 ottobre. Che sarebbe stata una vita di coppia movimentata lo capirono sin dalla vigilia. Per il pranzo di nozze si decise di mangiare dei fagiani, che “legammo al manubrio della bicicletta di Emil. All’improvviso, sulla strada verso casa, un cane sbucò dai campi e finì dritto tra le ruote della bici. Emil se la cavò senza problemi, io mi feci male a entrambe le ginocchia e mi ruppi il naso”.

Era l’inizio di un percorso che li avrebbe portati verso uno dei giorni più memorabili della storia dello sport mondiale. Il 24 luglio 1952 alle Olimpiadi di Helsinki Emil superò ogni record nella corsa dei 5.000 metri e portò a casa tre ori; Dana invece vinse un oro con il suo giavellotto. Le gare dovevano svolgersi contemporaneamente, ma a causa del record mondiale del lancio del martello da parte di Józsa Csermák l’inizio della gara del giavellotto fu posticipato. Così Dana trascorse la famosa Gara del Secolo nelle viscere dello Stadio Olimpico di Helsinki, senza sapere cosa stesse facendo Emil.

“Chiesi notizie alla prima persona che incontrai nel corridoio. Era Romanov, un allenatore russo. Roteò gli occhi come se guardasse qualcuno appena caduto dalla luna. Non riusciva ad accettare il fatto che mi ero perso la gara più drammatica, in cui Emil aveva vinto in un modo così incredibile, raccontò Dana. “Quando ci sistemarono i giavellotti stavano suonando gli inni nazionali. Incontrai per un attimo Emil e senza pensarci gli dissi: ‘Prestami la tua medaglia, magari mi porta fortuna’. Lui la lanciò verso la mia borsa”.

Nella conferenza stampa dopo la vittoria di Dana, Zatopek cercò di prendersi il merito della vittoria, in quanto talismano. “Veramente? Allora vai a ispirare un’altra ragazza e vedi se lei riesce a lanciare un giavellotto a 50 metri”, lo freddò lei.

Negli anni '60, gli Zatopek si ritirarono dagli sport agonistici. Erano eroi nazionali, venerati come atleti leggendari in tutta la Repubblica cecoslovacca. Nel 1968 il tentativo di umanizzazione del socialismo tentato dal leader riformista Alexander Dubček aveva attirato molti cechi e molti slovacchi, compresi Dana ed Emil, che nel frattempo era diventato allenatore dell'esercito ceco con il grado di colonnello. 

Entrambi firmarono il "Manifesto delle 2.000 parole" di Dubček in cui c’era una dichiarazione programmatica degli obiettivi del movimento. Emil erano uno di quelli che conduceva e incitava la folla nelle proteste di piazza Venceslao. L'euforia nazionale ebbe una fine improvvisa quando le truppe a guida sovietica invasero la Cecoslovacchia per "ripristinare il socialismo", dando inizio a un nuovo periodo di forti repressioni. Gli Zatopek pagarono a caro prezzo il loro attivismo.

Un mese dopo, a settembre, Emil andò a Città del Messico, in quanto ospite d’onore delle Olimpiadi. A Candido Cannavò, che era l’inviato della Gazzetta dello Sport, disse: "Abbiamo perso, ma il modo in cui è stato stroncato il nostro tentativo appartiene alla barbarie. Però non ho paura: io sono Zatopek, non avranno il coraggio di toccarmi..."

E se è vero che nessuno lo toccherà fisicamente, Emil e Dana verranno puniti con la morte civile. In primis un deputato cecoslovacco Vilem Nový, accusò l’opposizione di aver spinto Jan Palach a darsi fuoco con l’inganno. E fece il nome Zatopek come uno degli assassini morali del giovane. Le accuse non portarono da nessuna parte, ma furono l’inizio di una dolorosissima violenza psicologica.

Emil fu spogliato del suo grado, venne espulso dal Partito comunista e perse il lavoro. Con buona pace dei suoi 18 record mondiali. Venne mandato a Jachymov, confine con la Germania, a spaccarsi la schiena nelle miniere di uranio. Ci trascorse sei anni, prima di tornare a Praga e lavorare come spazzino.

Mentre a Dana venne tagliato lo stipendio. In primis ricevette una lettera di licenziamento dall'associazione dove lavorava come capo allenatore. “E tutto quello che ho fatto per lo sport e per la repubblica? Non vi vergognereste a licenziarmi?”, rispose durante un’udienza. Alla fine fu deciso che la riduzione del salario fosse un’umiliazione sufficiente.

I giornali comunisti fecero cadere su di loro un oblio innaturale. Riuscirono ad andare avanti solo grazie all’amore reciproco e alle proprie convinzioni.

Le gioie olimpiche vennero conservate da Dana in un cassetto: foto e riconoscimenti dei record di Emil nel mezzofondo, 38 vittorie consecutive nei 10.000 metri, le prime medaglie olimpiche a Londra, la tripletta di Emil di Helsinki parallelamente all’oro di Dana, fino all’ultima Olimpiade di Melbourne, corsa da Emil subito dopo un’ernia uscita perché si allenava con Dana sulle spalle. Tutti i ricordi che li consegnarono alla storia: elegante lei, sgraziato ma efficace lui, non a caso chiamato “Uomo locomotiva” perché sbuffava sempre. In tutte le foto sembra sul punto di crollare. Ma alla fine vinceva.

Entrambi andarono in pensione nel 1980, abbandonati dallo stato, spogliati del loro prestigio olimpico e vivendo nell’oblio. E quando il regime comunista cadde nel 1989, le fragili condizioni di salute della coppia rese impossibile la loro partecipazione alla vita pubblica dell’appena nata democrazia.

Un pomeriggio, subito dopo la Rivoluzione di Velluto, qualcuno riconobbe Emil sulla spianata di Letna, vicino allo stadio dello Sparta Praga. Era tra i cinquecentomila scesi a festeggiare la nuova libertà. Gli chiesero di salire sul palco e parlare alla folla, come se fosse ancora il ‘68. Lui declinò: toccava a una nuova generazione prendere in mano l’eredità delle sue lotte.

Dopo la morte di Emil, Dana si trasferì in un piccolo bilocale. Tra gli oggetti che portò nella sua nuova casa c’era anche una scopa. Un oggetto consumato e all’apparenza normale, ma con una storia incredibile dietro. Anni prima Emil aveva deciso di sostituire la scopa di casa. Così aveva preso il giavellotto che sua moglie aveva usato per vincere a Helsinki e lo aveva reso un manico di scopa perfetto. In quegli anni difficili, decontestualizzare gli oggetti della loro gloria sportiva e inserirli nella vita di tutti i giorni (un altro giavellotto vincente faceva da appendiabiti) era un piccolo hobby che avevano adottato per sopportare le ingiustizie.

Dana Zátopková non ha mai revocato la sua firma sul documento rivoluzionario che ha segnato per sempre la sua vita e quella di suo marito. E ha deciso di rendere la correttezza e il fair play alla base di ogni sua attività. “Bisogna fare di tutto affinché il fair play venga mantenuto di qualsiasi attività sportiva. Se subentra il denaro, arriva la malizia”, soleva dire. Fece parte del Cio fino ai novant’anni.

Ora possono riposare insieme, come era successo dopo quella volta che avevano corso lungo un bosco innevato. "Corremmo per venti chilometri nella neve del bosco", raccontò Dana nel ‘90 a Sports Illustrated (l’intervista è stata riportata da Marco Patucchi in Maratoneti, storie di corse e di corridori, Baldini&Castoldi). “A metà percorso io crollai a terra sfinita: 'Tu vai avanti, lasciami morire qui...' dissi scherzando a Emil. Ma lui prese una corda e mi legò ai suoi fianchi. Così corse fino a casa trascinandomi nella neve. Alla fine di quella giornata, arrivati a casa, mi disse che si sentiva stanco. Una volta tanto..."

[Si ringrazia il Centro Ceco di Milano per la consulenza durante la stesura di questo articolo]

Joshua Evangelista, Responsabile comunicazione Gariwo

20 marzo 2020

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