Enriqueta Estela Barnes nacque il 22 ottobre 1930 a Buenos Aires, da una famiglia di origini inglesi. Maestra elementare, sposò Guido Carlotto, un'operaio di origini italiane, dal quale ebbe quattro figli. Nel novembre del 1977 sua figlia Laura venne rapita da uno squadrone della morte in una strada di La Plata, la città in cui viveva, a poco più di dieci chilometri da Buenos Aires.
Erano gli anni della Junta, la sanguinaria dittatura militare in carica dal 1976 al 1983 che violò sistematicamente i diritti politici e umani dei cittadini attraverso il terrore e le sparizioni forzate di oltre 30 mila desaparecidos invisi al governo.
Oltre a Laura, studentessa peronista di Storia all’Università di La Plata, anche i figli Claudia e Guido erano attivi in politica. Tre mesi prima di Laura, anche il marito Guido era stato sequestrato e torturato dai militari, che lo liberarono solo in seguito al pagamento di 40 milioni di pesos (pari a 30 000 dollari dell'epoca).
Al momento del rapimento Laura era incinta di tre mesi. Fu portata in un centro di detenzione segreto chiamato La Cacha, dove uccisero davanti a lei il 26enne Walmir Montoya, suo compagno nonché padre del bambino che portava in grembo.
Il bimbo nacque nel giugno 1978, mentre Laura era ancora in prigione. Secondo un rapporto emerso in seguito, Laura partorì ammanettata e le vennero concesse solo cinque ore con il bambino. Due mesi dopo fu trascinata fuori dal campo, dove l'esercito organizzò un finto scontro armato.
Quando il suo corpo venne consegnato alla madre Estela, erano evidenti i buchi da proiettile all’altezza dello stomaco e il volto appariva tumefatto, probabilmente dopo aver subito i colpi del calcio di un fucile. In seguito alcuni sopravvissuti del campo raccontarono a Estela che la figlia aveva partorito un bambino che aveva deciso di chiamare Guido, come suo padre.
Per 36 anni Estela ha dedicato tutte le sue energie alla ricerca di suo nipote. Le uniche informazioni a sua disposizione erano un nome, Guido, e una data di nascita approssimativa. Sono stati tre decenni atroci, in cui la ricerca forsennata della verità l’ha portata ad azioni legali contro agenti di polizia, ufficiali militari e medici coinvolti nei tanti casi di “nipoti scomparsi”.
Una volta compreso che, come lei, tante altre abuelas cercavano giustizia, decise di diventare membra del gruppo delle Nonne di Plaza de Mayo (fondato da Alicia de la Cuadra e altre 11 donne), dal nome della piazza della città di fronte al palazzo presidenziale nel centro di Buenos Aires, dove madri e nonne marciano da anni per chiedere giustizia.
Dopo aver abbandonato il suo incarico scolastico nell’agosto del 1978, Estela si dedicò interamente alla causa delle Abuelas Argentinas con Nietitos Desaparecidos (“nonne argentine con nipoti scomparsi”) diventando nel 1989 presidentessa dell'associazione.
Il gruppo ritiene che ci siano almeno 500 casi di bambini nati durante la prigionia di donne dissidenti. Nella maggior parte dei casi, i bambini venivano affidati a famiglie di militari perché fossero cresciuti come propri. Nel pensiero distorto dei generali che governavano l'Argentina, non sarebbe stato cristiano uccidere un bambino innocente, non ancora nato, giustiziando la futura mamma. Per lo stesso motivo, consegnare i bambini a "buone" famiglie di militari da allevare come proprie rappresentava la vittoria finale sul nemico di sinistra “senza Dio”.
In tre decenni di lavoro, le nonne di Plaza de Mayo hanno rintracciato 120 nipoti. Tra questi non c'era il nipote di Estela. La sua assenza era diventata una ferita profonda per gran parte dei suoi connazionali, che vedevano Barnes de Carlotto come uno dei simboli più potenti della ricerca della verità in Argentina. Candidata più volte al Nobel per la Pace, in tutto il mondo è stata considerata emblema dell’attivismo pacifista contro le dittature sudamericane. "Sono un personaggio pubblico molto noto", ha detto qualche anno fa durante un’intervista. "Tutti continuavano a chiedermi: 'Quando sarà il tuo turno?'"
Per tanti anni Guido Montoya Carlotto è stato Ignacio Hurban, figlio unico di Juana e Clemente Hurban, una coppia di contadini residenti nei pressi della città di Olavarría in una fattoria di proprietà di Francisco Aguilar, un ricco proprietario terriero vicino al governo militare. Ignacio visse un’infanzia felice, seppur con “un rumore di fondo: non somigliavo ai miei genitori”. Diventato musicista e insegnante di musica, il 2 giugno 2014, durante il suo compleanno, Ignacio scoprì da una contadina amica di Aguilar che era stato adottato dopo che la dittatura aveva ucciso i suoi veri genitori.
I genitori adottivi di Ignacio non hanno mai sospettato nulla, credevano che semplicemente Aguilar avesse dato loro il bambino di una donna che non voleva tenerlo, come spesso accadeva in quei tempi. “Credevano al loro capo, era come un Dio per loro: lui era la loro unica fonte di reddito", ha spiegato recentemente Ignacio.
Nel frattempo l’associazione presieduta da Estela Barnes de Carlotto aveva creato una banca dati con campioni di DNA di tutte le donne che avevano perso i propri nipoti durante la dittatura. Ignacio Hurban decise di fare un test del DNA.
Più volte aveva visto in televisione Estela condividere appelli, così pensò che fosse risultato davvero figlio di una coppia scomparsa durante la dittatura avrebbe voluto essere proprio il nipote della “nonna superiore”, Estela. Dopo aver scoperto di essere figlio di Laura Carlotto e Walmir Montoya (un musicista proprio come lui), Ignacio incontrò le sue due nonne naturali, Estela e Ortensia Montoya. Una volta diffusa la notizia, un’ondata di gioia ha coinvolto tutta la nazione.
Per il suo impegno, Estela Barnes de Carlotto ha ottenuto il Premio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani e il Premio Unesco per la pace di Félix Houphouët-Boigny.
Oggi Estela, nonostante l’età avanzata, continua il suo lavoro a fianco delle altre nonne: ci sono ancora altre centinaia di nipoti da trovare. “L'unico pensiero che ho avuto è stato: Laura può riposare in pace ora”, ha detto in una intervista. “Ho sentito che Laura mi ha detto: ‘Mamma, missione compiuta’. Ma c'è ancora tanto da fare. Continuerò a cercare gli altri scomparsi".