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Marianela Garcia Vilas (1948 - 1983)

avvocata dei poveri, voce degli scomparsi, speranza per gli oppressi del Salvador, dedica la vita a denunciare il dramma del suo popolo

“Non ci importa se ci chiamano sovversivi, traditori della patria; non ci importano gli arresti e le vessazioni che abbiamo patito per difendere i prigionieri politici; non ci importano le distruzioni con le bombe delle nostre sedi e delle nostre case. Continuiamo a lottare con la voce e con la penna, e con il pensiero certo angosciante che possa arrivare la morte”. Alla fine del 1982 il quotidiano spagnolo El Pais pubblica un intervento dell’avvocata salvadoregna Marianela Garcia Vilas, che solo pochi mesi più tardi sarebbe diventato l’epitaffio di una donna che si era battuta per tutta la vita in difesa del suo popolo. Per anni era stata l’avvocata dei poveri, la voce degli scomparsi, la speranza per gli oppressi del Salvador, un paese con un’economia controllata dalle famiglie del caffè, governato da politici corrotti e da militari assassini che incarceravano, torturavano e uccidevano i contadini, i lavoratori e gli esponenti della chiesa di base potendo contare su un’impunità assoluta.

Marianela proveniva da una famiglia della buona borghesia salvadoregna, aveva studiato in Spagna e avrebbe potuto tenersi alla larga dal caos che regnava nel suo Paese. Ma la sua coscienza le impedì di chiudere gli occhi di fronte alle condizioni di vita disumane del suo popolo. Scelse di provare a cambiare le istituzioni dall’interno attraverso la militanza politica nelle file della Democrazia cristiana, poi iniziò a lavorare con le comunità di base per risvegliare le coscienze dei contadini, infine intraprese una lotta tenace per il rispetto della legalità e dei diritti umani.

Per aiutare i contadini sfruttati dai potenti proprietari terrieri aprì un piccolo ufficio di consulenza giuridica per seguirli nelle controversie sul lavoro e denunciare gli abusi. Stabilì fin da subito un sodalizio con l’arcivescovo Oscar Romero, uno dei simboli della resistenza nonviolenta dell’America Latina. Le battaglie in difesa del popolo salvadoregno li uniranno in un profondo rapporto di collaborazione, stima e amicizia che si intensificherà a partire dal 1978, quando Marianela fonda la Commissione permanente per la difesa dei diritti umani del Salvador. L’anno dopo scoppia la guerra civile e la Commissione inizia a raccogliere testimonianze sulle sparizioni e gli omicidi, e a organizzare la difesa dei prigionieri politici. Marianela e i suoi collaboratori raccolgono le testimonianze, compilano gli elenchi degli scomparsi, riscontrano e confrontano le dichiarazioni, poi passano al lavoro di denuncia. Le notizie delle sparizioni e dei ritrovamenti di cadaveri non compaiono sulla stampa perché vengono sistematicamente censurate, ma in molti casi loro riescono a farle pubblicare sotto forma di inserzioni pubblicitarie, acquistando gli spazi sui quotidiani, mentre due volte la settimana dalle frequenze della radio della chiesa vengono date notizie sulle persone arrestate, scomparse o uccise.

Il 24 marzo 1980, però, l’arcivescovo Romero viene assassinato da un sicario mentre celebra la messa. Le sue insistenti e circostanziate denunce, il suo carisma e la grande popolarità che si era guadagnato tra la gente infastidivano sempre più la dittatura, che non aveva lesinato minacce contro di lui, fino a metterlo in cima alla lista dei condannati a morte. Anche Marianela, i suoi familiari e i suoi collaboratori vengono perseguitati a lungo, e la Commissione per i diritti umani subisce due gravi attentati in cui quasi per miracolo non si registrano vittime. Marianela riconosce che l’insurrezione è ormai un modo legittimo per difendersi contro una tirannia insostenibile ma non aderisce alla lotta armata. Occuparsi dei morti è per lei l’unico modo costruttivo per difendere i vivi, per salvaguardare l’ultimo brandello di dignità del suo popolo. Giorno dopo giorno percorre le strade del Salvador, attraversa i paesi e le campagne per recarsi sui luoghi delle stragi quotidiane, identifica i corpi prima che la polizia li faccia sparire nelle fosse comuni. Cercare di dare un nome agli scomparsi è un atto di pietà verso i morti ma anche verso i vivi, poiché spesso quella è l’ultima possibilità per le famiglie di conoscere la sorte di un figlio, di un marito, di un parente scomparso.

Dal 15 ottobre 1979 - giorno del golpe militare - alla fine del 1982 la Commissione per i diritti umani calcolerà 43.337 persone assassinate. È una cifra spaventosa, ancorché calcolata per difetto, che non tiene conto delle migliaia di persone scomparse o detenute illegalmente nelle carceri del regime. Con questi numeri in mano Marianela Garcia Vilas inizia a documentare anche nelle sedi internazionali gli orrori compiuti dall’esercito salvadoregno. Si reca alle Nazioni Unite, poi presenta una documentata istanza al Tribunale permanente per i popoli, dal quale ottiene la condanna della giunta militare per crimini contro l’umanità e la denuncia del governo statunitense per complicità e favoreggiamento. Ma la comunità internazionale non riuscirà ad andare oltre le dichiarazioni di principio e si limiterà a rispondere alle stragi con i buoni propositi e le condanne formali.

Marianela sa che anche la sua sorte è segnata, ne è talmente consapevole da confidarlo a uno dei suoi interlocutori politici italiani. Alla fine di settembre del 1982 si trova ad Atene per una riunione della Commissione internazionale d’inchiesta sui crimini del regime cileno. Lì incontra il senatore del Pci Gianfilippo Benedetti, gli chiede di portare i suoi saluti agli amici italiani e aggiunge: “presto sentirete parlare di me, perché mi ammazzeranno”. La sua tragica profezia è destinata ad avverarsi pochi mesi dopo, quando torna in Salvador per raccogliere prove sull’ultima terrificante ondata di repressione messa in atto dal regime con l’uso di armi chimiche. Viene catturata dall’esercito mentre sta cercando di mettere in salvo le vittime di un bombardamento aereo. È ferita, i soldati la portano in elicottero alla scuola militare di San Salvador e lì la torturano per ore, prima di ucciderla. Non aveva ancora compiuto 35 anni.

Riccardo Michelucci, giornalista

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