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Enrico Calamai (1945)

vice console che ha salvato 300 persone dalla dittatura militare

Enrico Calamai è nato a Roma il 24 giugno 1945. Indirizzato dal padre agli studi di economia, intraprende la carriera diplomatica. Vive tra Roma e Madrid e nel 1972 giunge a Buenos Aires per la prima missione al servizio del Ministero degli Affari Esteri in qualità di vice console. 

L’anno dopo i militari con un golpe rovesciano il governo legittimo di Salvador Allende nel vicino Cile. L’Italia non riconosce il governo del generale Pinochet, ritira la rappresentanza diplomatica e richiama l’ambasciatore. Nelle sedi diplomatiche molte persone sono alla ricerca di un salvacondotto. Nell’ambasciata italiana 412 rifugiati, tra cui 50 bambini, chiedono asilo politico. Calamai viene richiamato dall'Argentina. Grazie al suo impegno si arriva a una soluzione di compromesso: tutti i rifugiati sarebbero partiti ma subito dopo i militari cileni avrebbero circondato l’edificio in modo da non permetterne più l’accesso. Calamai ricorda un clima di immane violenza da parte dei militari e una grande disperazione dei rifugiati, e annota di aver maturato le prime riflessioni sulle atrocità che accompagnano le dittature proprio in quei giorni. 

Nel 1976 il giovane diplomatico è di nuovo a Buenos Aires presso il consolato italiano e assiste alle stesse atrocità dopo il colpo di stato del generale Jorge Videla. Nei sette anni di repressione, 30mila persone vengono uccise o fatte sparire nelle caserme trasformate in centri di tortura. 

Calamai riesce a salvare almeno 300 persone, senza fare differenza tra i nostri connazionali emigrati e coloro che non avevano il passaporto italiano. Tesse una rete di protezione e accoglie in Consolato e direttamente a casa sua molti perseguitati, fornisce loro falsi documenti per consentire l’espatrio in Italia e, se necessario, li accompagna personalmente in aeroporto. Il flusso di persone che chiede di partire per l’Italia cresce sempre di più. Calamai non accetta di abbandonare al loro destino quegli uomini disperati e assume su di sé le responsabilità e i rischi. 

Può contare solo sull’aiuto di pochi, come l’inviato del Corriere della Sera, Giangiacomo Foà e il sindacalista Filippo di Benedetto, che lo aiutano a cercare di far uscire dall’Argentina le notizie sulla repressione in atto. “Non era un lavoro semplice – ricorda - perché la dittatura militare aveva spie ovunque, bastava un semplice sospetto e si spariva senza fare più ritorno”. Si adopera anche per avere notizie sui desaparacidos fino a quando, nel 1977 viene richiamato a Roma.  È lo stesso Calamai ad ammettere di non aver avuto, in seguito, una carriera molto brillante, di esser stato mandato in Nepal e poi in Afganistan, e appena possibile in pensione.

Il 10 dicembre 2004 ha ricevuto, nell'Ambasciata della Repubblica Argentina in Italia, la Cruz dell’Orden del Libertador San Martin, per essersi battuto in difesa dei diritti umani durante gli anni della dittatura.

Calamai ha contribuito a fondare il “Comitato per la promozione e la protezione dei diritti umani” ed è autore del libro: Niente asilo politico. Diario di un console italiano nell’Argentina dei desaparecidos.Dal 12 aprile 2010 a Enrico Calamai sono dedicati un albero e un cippo al Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano. 

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