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Giusti nello sport, un confronto tra atleti e giornalisti

Il resoconto della presentazione dell'ebook di Gariwo

Doveva essere essere una giornata di festa dedicata allo sport al Giardino dei Giusti di Milano. Purtroppo Covid-19 e maltempo hanno costretto lo staff di Gariwo a rivedere i programmi e la presentazione dell’ebook “I Giusti dello sport” del 24 settembre e a spostare i lavori online, attraverso una diretta streaming che tuttavia è stata seguita da un numero molto cospicuo di spettatori. 

In un’ora e mezza, atleti citati nel volume e alcuni degli autori hanno partecipato a una sorta di staffetta narrativa, susseguendosi nel racconto delle storie che compongono l’ebook. Storie di sportivi che, dalla Shoah ai giorni d’oggi, hanno scelto di difendere la dignità umana anche quando questa è stata la scelta la più scomoda. Del resto, citando Primo Levi, lo sport non è un’isola separata dal mondo. E se il mondo vive un clima pericoloso, lo sport ne è parte integrante. Nasce da questa constatazione l’urgenza di Gariwo di individuare figure esemplari nello sport e teorizzarne i comportamenti così da poter essere emulati da sportivi, tifosi e addetti ai lavori di oggi e di domani. Lo ha spiegato Gabriele Nissim, presidente di Gariwo, durante la presentazione. Si tratta di “un’operazione culturale e civile in quella che è tutt’altro che un’isola felice”, come l’ha definita Franco Arturi, editorialista della Gazzetta dello Sport e direttore della Fondazione Candido Cannavò, che ha patrocinato l’ebook. Arturi ha partecipato al volume con un articolo sulla storia di “Io tifo positivo”, nato sulla spinta di Comunità Nuova di don Gino Rigoldi per educare i più giovani alla cultura del rispetto nello sport. Moderati da Joshua Evangelista, che ha coordinato la pubblicazione, gli autori si sono susseguiti in un fitto racconto collettivo che dalle vicende, spesso tragiche, degli sportivi dissidenti vissuti in Europa durante le dittature nazi-fasciste è arrivato ai giorni nostri, con le storie degli atleti chiamati a prendere posizione davanti al razzismo e ad agire con coraggio e responsabilità di fronte a una pandemia mondiale.

Gli atleti Giusti durante la Shoah

Il giornalista Leonardo Coen, ha raccontato le storie dei ciclisti non collaborazionisti con il regime di Vichy e più in generale sugli sportivi antifascisti che vennero condotti al famigerato “Velodromo d’inverno”, il circuito per gare di ciclismo dove vennero condotti ebrei e dissidenti tra il 16 e il 17 luglio 1942. “Secondo il direttore delle biblioteche dello Yad Vashem, gli sportivi portati ai campi di sterminio furono circa 60mila”, ha spiegato Coen, “ma di essi non vi è traccia tranne che per pco più di 220 schede perché non venivano registrati come atleti”. Tra le storie più interessanti citate da Coen c’è sicuramente quella del calciatore Matthias Sindelar, il “Mozart del pallone”, anti-nazista e difensore degli ebrei che morì avvelenato da monossido di carbonio in circostanze mai chiarite.Tra le figure più note tra i Giusti dello sport vi è sicuramente Gino Bartali, ricordato all’interno dell’ebook attraverso un estratto di “Gino Bartali. Una bici contro il fascismo” (Baldini+Castoldi, 2018), commentato dal suo autore, Alberto Toscano che ha rimarcato l’importanza del suo impegno nel trasportare documenti falsi per permettere alle famiglie ebree di fuggire in Svizzera e il ruolo, troppo poco ricordato, del rabbino Nathan Cassuto.


Atleti e dissenso

La seconda parte dell’incontro, ricalcando la struttura del libro, è stata dedicata al dissenso e a quegli sportivi che hanno saputo dire no alla censura o al controllo di dittatori e regimi.
In quest’ottica è stato ospitato il contributo dello storico dello sport Marco Giani, co-autore insieme a Federica Seneghini di “Giovinette. Le calciatrici che sfidarono il duce” (Solferino, 2020), che ha raccontato la storia delle sorelle Boccalini, animatrici della prima squadra femminile di calcio in Italia, durata pochi mesi nel 1933 per essere poi sciolta dal regime fascista perché non in linea con i valori del regime.
Dal regime fascista si è passati alla Primavera di Praga e all’importanza dei coniugi Emil e Dana Zapotek. Tra i più grandi sportivi di tutti i tempi, gli Zatopek furono tra i protagonisti della Primavera di Praga, firmarono il “Manifesto delle 2000 parole” e non persero la tenerezza e la complicità quando il regime cecoslovacco li considerò dei reietti. Testimone d’eccezione è stato Marco Marchei, ex maratoneta e mezzofondista olimpionico e ora giornalista sportivo, che ha raccontato del suo incontro con Emil Zatopek. Marco ci parla del suo incontro con Zatopek.

Figure esemplari di oggi

L’ultima parte della presentazione è stata dedicata alle figure esemplari di oggi. Da Yusra Mardini - nuotatrice siriana la cui storia è raccontata nell’ebook da Martina Landi e che recentemente è stata onorata come Giusta al Giardino dei Giusti di Milano – a due Cavalieri dello stato recentemente nominati dal presidente Mattarella.
Il primo è Maxime Mbandà terza linea delle Zebre di Parma e della Nazionale italiana di rugby, che in collegamento dalla città emiliana ha raccontato i suoi tre mesi da volontario della Croce Gialla in soccorso dei malati di Covid-19.
L’altro è l’attuale allenatore della Nazionale di calcio dei sordi Igor Trocchia, che due anni fa fece scalpore per aver deciso di ritirare la sua squadra da un torneo giovanile inseguito a delle offese razziste rivolte a uno dei suoi calciatori.

La responsabilità dei tifosi
L’incontro si è concluso ricordando che se ci sono Giusti anche tra i tifosi vuol dire che la responsabilità, nello sport, va condivisa tra tutti coloro che ne prendono parte: non solo gli atleti, quindi, ma anche società, giornalisti e, per l’appunto, i sostenitori degli sportivi e delle squadre. Darwin Pastorin ha parlato di Moacyr Barbosa, sfortunato portiere brasiliano che, per un errore durante la finale del Mondiale del '50 contro l'Uruguay, è passato dall'essere un eroe a venire costantemente minacciato di morte. Il giornalista Francesco Caremani ha invece raccontato la figura di Otello Lorentini, a capo di trent’anni di battaglie per ottenere giustizia per le 39 vittime della tragedia dell’Heysel del 1985. L’Associazione tra le Famiglie delle Vittime di Bruxelles, da lui fondata, ha rappresentato uno strumento per mantenere viva la memoria ma anche per sfidare un colosso come la Uefa, tra i responsabili principali di quella che si può definire “una strage annunciata”.

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