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Félicité Niyitegeka (1934 - 1994)

suora laica di origine hutu, durante il genocidio preferì la morte all'abbandono dei 43 tutsi che stava proteggendo

Nel 1994 Félicité Niyitegeka dirigeva il Centre Saint-Pierre, un istituto missionario cattolico di base a Gisenyi, una tranquilla cittadina di frontiera che si affaccia sul lago Kivu. 

Nata nel 1934 in una famiglia hutu, Félicité era stata soprannominata dai suoi genitori "ikimanuka", per indicare la sua personalità amichevole e integra. Sempre a disposizione per aiutare le persone in difficoltà e per mediare nelle dispute, decise di rimanere nubile per dedicarsi al servizio degli altri e negli anni '50 si unì alle Ausiliari dell'Apostolato, un ordine laico che in Ruanda comprendeva membri sia hutu che tutsi. Dopo aver conseguito un certificato di insegnamento e aver ricevuto un'ulteriore formazione religiosa a Lourdes, in Francia, iniziò a dirigere il Centre Saint-Pierre a Gisenyi, un luogo di villeggiatura che i cittadini di Kigali raggiungevano per sfuggire alle preoccupazioni della quotidianità.

Nella cittadina ai confini con l'ex Zaire lo spettro del genocidio si palesò durante la seconda settimana dell'aprile 1994. Le storie di violenze e sopraffazioni che giungevano dal resto del paese preoccupavano Félicité, che a malapena riusciva a dormire e che a una amica disse - ben prima dei massacri - "prevedo un pericolo imminente". 

Quando le squadre di sterminio iniziarono a esplicitare la loro furia genocidaria, Niyitegeka stava conducendo un ritiro spirituale al Centre Saint-Pierre, nel quale mai si erano fatte distinzioni tra hutu e tutsi. Niyitegeka decise di far rimanere nel Centro i partecipanti al ritiro di origine tutsi, conscia che farli ritornare a casa significava condannarli a morte. Su sua sollecitazione, anche altri tutsi che vivevano nelle vicinanze del centro si unirono a loro.

Intanto le milizie convergevano su Gisenyi: Félicité si rese conto che il centro non era più un posto sicuro. Così decise di guidare le persone verso il superamento del confine con la Repubblica del Congo, allora Zaire. Del resto il centro era a poco più di un chilometro dalla frontiera.

Così Niyitegeka chiamò i suoi contatti oltre confine, organizzando per i suoi ospiti tutsi un rifugio temporaneo. Conoscendo bene i soldati che pattugliavano l'area di confine decise di corromperli affinché si voltassero altrove durante il passaggio.

Aiutata da Adria Umurangamirwa, una tutsi che risiedeva al centro, intorno alle 2 del mattino del 19 aprile 1994 Niyitegeka si preparò per organizzare la fuga di dieci-quindici persone oltre il confine. I profughi si radunarono nella cappella, dove vennero benedetti da Niyitegeka e da un sacerdote. Quindi uscirono dal retro del centro attraverso una piccola porta di servizio e, scortati da Adria, attraversarono un sentiero circondato da fitti cespugli, con l'ansia che nel buio qualcuno fosse in agguato. Alla fine riuscirono a raggiungere l'Hôtel des Grands Lacs di Muzizi, in Zaire.

Entusiasta del successo della spedizione, durante il pomeriggio del 21 aprile Niyitegeka si prodigò per organizzare il viaggio di un altro gruppo di profughi. Fu in quel momento che vide arrivare una banda di miliziani che in maniera disordinata, brandendo pistole, granate e machete, cercarono di entrare nel cortile del Centre Saint-Pierre. 

Una volta entrati, intimarono a Félicité la consegna dei profughi, che definirono "scarafaggi", come in quei giorni le milizie chiamavano i connazionali di origine tutsi. Félicité Niyitegeka rifiutò di collaborare, affermando che quei profughi erano loro fratelli e sorelle.

I miliziani caricarono i profughi su alcuni bus, invitando Félicité a farsi da parte. Del resto la direttrice del centro era "protetta" da suo fratello Alphonse Nzungize, colonnello dell'esercito hutu. Già prima dell'arrivo delle milizie, Nzungize aveva implorato sua sorella di lasciare il Centre Saint-Pierre, ma Niyitegeka aveva declinato. “Preferirei morire”, scrisse in una lettera indirizzata al fratello, “che abbandonare le quarantatré persone di cui sono responsabile”.

Félicité salì su uno dei bus insieme alle persone che custodiva e con loro fu condotta alla Commune Rouge, un cimitero dell'area trasformata in un centro di sterminio. Gli assassini ordinarono a tutti di uscire. Niyitegeka pregò per i suoi compagni di viaggio e invitò loro a non aver paura. Quindi venne uccisa a colpi di arma da fuoco, insieme ai tutsi che aveva protetto fino a quel momento.

Eric Murangwa, sopravvissuto al genocidio contro i tutsi e co-fondatore della Fondazione Ishami, alla rivista Atlas Oscura ha affermato che Félicité "aveva una forza così incredibile da mettersi nella posizione di dire: 'Il meglio che posso offrire a queste persone è in realtà di stare con loro, qualunque cosa stia succedendo'". 

Giardini che onorano Félicité Niyitegeka

Félicité Niyitegeka è onorata nel Giardino di Marsiglia.

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