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Fare dell'Europa un unico luogo sicuro

il ruolo di Giusti come Daphne Vloumidi e Costantino Baratta

Il 14 marzo 2018, l'Associazione Giardino dei Giusti di Milano composta dal Comune di Milano, da Gariwo e dall'UCEI, onorerà al Giardino dei Giusti di Milano il capo yazida Hammo Shero che salvò molti armeni nel 1915 (oggi gli armeni cercano di fare lo stesso con gli yazidi intrappolati nelle montagne siriane e schiavizzati dall'Isis), il console cinese a Vienna Ho Feng Shan che aiutò gli ebrei braccati dai nazisti a trovare rifugio a Shanghai, e due figure di grande spessore della nostra contemporaneità, Daphne Vloumidi, albergatrice greca, e Costantino Baratta, pescatore siciliano.

Questi ultimi, durante le recenti crisi degli sbarchi a Lesbo e in Sicilia, hanno sfidato le leggi per compiere atti di salvataggio nei confronti dei migranti che cercavano di attraversare il Sud Europa via mare. In entrambi i casi si può dimostrare che in realtà questi Giusti hanno operato nel rispetto delle leggi, o almeno in modo legittimo, consentito dai provvedimenti varati in un clima politico esasperato nei vari Paesi soggetti alla tensione tra natura transnazionale del fenomeno migratorio e controllo nazionale delle frontiere, visione a breve termine e a medio-lungo raggio, sovranità nazionale e solidarietà verso gli altri Paesi europei, e numerose altre dicotomie che interessano oggi i sistemi politici cui spetta il compito di governare i flussi migratori. 

La crisi greca degli sbarchi, per cominciare, è stata solo una breve parentesi conclusasi con un calo drastico degli stessi dopo l'accordo tra UE e Turchia del marzo 2016. L'Italia nel lungo periodo rimane il Paese più interessato agli sbarchi. Lampedusa dista solo 100 km dalla costa tunisina, l'Africa subsahariana e il Maghreb sono stati interessati negli ultimi anni da rivolgimenti politici e climatici, ci sono inoltre in gioco fattori di spinta come la disoccupazione e l'instabilità e fattori di attrazione come purtroppo le organizzazioni criminali.

In tutto questo, l'azione di persone come Daphne Troumpounis e Costantino Baratta ha semplicemente affermato che Italia e Grecia sono "luoghi sicuri" secondo la normativa internazionale, benché forse non siano gli unici. Vige l'obbligo non solo di salvare le persone in mare, ma anche di aiutare i sopravvissuti alle traversate a raggiungere "luoghi sicuri geograficamente vicini".  In un caso la Sicilia, in un altro l'hotel di Lesbo gestito da Daphne e poi la strada per recarsi ad Atene. 

In Italia come in Grecia, si può rischiare un'imputazione per favoreggiamento all'immigrazione clandestina per avere aiutato i migranti al di fuori del sistema dei centri d'identificazione istituiti dalle nostre autorità, eppure non dovrebbe essere così, perché, come dimostrano studi di think thank internazionali indipendenti e pluripremiati come l'ISPI, "il nodo è di natura squisitamente politica". 

I migranti tratti in salvo, secondo le convenzioni internazionali, devono essere condotti in luoghi tali dove viga "il rispetto dei 'bisogni umani essenziali (vitto, alloggio e necessità mediche)', ma che debbano essere rispettati i diritti umani e quelli dei rifugiati – in particolare tutelando il diritto di non refoulement (non respingimento). Al momento, però, - continua il documento del ricercatore Matteo Villa dell'Istituto di Politica Internazionale con sede in via Clerici a Milano, "l’assenza di una chiara definizione vincolante di luogo sicuro, e di un accordo su quali Stati lo siano, crea incertezza anche rispetto alla recente posizione assunta dall’Italia", che starebbe cercando di affermare, formalmente e con ragione, di non essere l'unico possibile luogo sicuro, coinvolgendo per esempio Malta in base a una convenzione internazionale approvata nel 1979 ed entrata in vigore nel 1985, detta SAR, acronimo di "Search And Rescue", che disciplina quanto è lecito in merito a ricerca e salvataggio di persone disperse in mare tanto internazionale, quanto territoriale dei singoli Paesi. Tuttavia al momento i salvataggi avvengono soprattutto in zona SAR libica, e la Libia non può essere ritenuta un luogo sicuro, mentre Malta invoca le esigue dimensioni dell'isola per frenare l'accoglienza.  

"Se l’Italia desse davvero seguito alla dichiarata intenzione di negare l’accesso ai propri porti a navi battenti bandiera straniera, - prosegue il ragionamento di Villa - e gli altri Paesi europei non decidessero di sostituirsi all’Italia, si potrebbe correre il rischio di tornare a una situazione simile a quella dell’inizio del 2015. In quei mesi alla missione italiana Mare Nostrum si era sostituita la prima versione dell’operazione europea Triton, che aveva arretrato il baricentro dei salvataggi a ridosso delle acque italiane. In coincidenza dell’inizio di Triton erano aumentate le morti in mare, fino al tragico naufragio nel Canale di Sicilia del 18 aprile, nel quale persero la vita tra le 700 e le 900 persone e che convinse l’Europa a spostare le operazioni di Triton molto più a sud".

Probabilmente è fisiologico e lecito che in campagna elettorale si dibatta sul grado di discrezionalità che l'Italia intende assumere nella gestione dei flussi, ma non deve venire meno il rispetto del dettato costituzionale e delle persone come Daphne Vloumidi e Costantino Baratta, che hanno seguito un qualcosa che non discende solo dal nostro essere umani empatici e dotati di ragione e di solidarietà e spirito di cooperazione, ma è anche riconosciuto dal diritto internazionale e nazionale, per lo meno consuetudinario.

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