di Martina Landi, 5 febbraio 2013
Abbiamo incontrato Giorgio Mortara, amico di Gariwo, professionista attento alle tematiche di cui ci occupiamo e consigliere dell’UCEI, per avere una sua riflessione sul significato della Giornata Europea dei Giusti. Insieme all'opinione personale di Mortara, abbiamo quindi avuto anche uno spaccato della posizione della Comunità ebraica italiana.
Qual è secondo lei il senso della Giornata europea dei Giusti?
L’Europa sta vivendo una crisi profonda, e vi è la necessità di trovare una nuova identità europea. Ritengo che un passo fondamentale in questo senso sia l’elaborazione del passato attraverso la celebrazione di alcuni esempi positivi. Bisogna cioè fornire ai giovani degli esempi concreti e fattivi, affinché con un meccanismo di “emulazione edificante” possano costruire un’identità fondata sulla responsabilità. Ed è indispensabile che siano i Giusti ad avere questo ruolo di esempi, che vengano onorati e che venga dato risalto a chi, magari nell’ombra e semplicemente facendo il “proprio dovere”, ha lottato contro il male.
Per la celebrazione della Giornata europea dei Giusti ritengo però che sia necessario fare molta attenzione per trovare degli esempi che possano essere ampiamente condivisibili, per non creare attriti tra diverse nazionalità. Penso che sarà fondamentale non tanto e non solo ricordare delle singole persone, ma portare avanti delle idee, dei concetti come il rispetto della dignità umana, della libertà, che stanno alla base delle azioni dei Giusti.
Cosa pensa dell’estensione del concetto di Giusto dalla Shoah ad altri genocidi e crimini contro l’umanità?
Apprezzo,
e ho appoggiato, il concetto che non è Giusto solamente il non ebreo
che ha aiutato l’ebreo. D’altra parte riconosco che più estendi il
panorama politico e geografico, più è difficile definire i Giusti,
perché noi non siamo in grado di valutare quella che era la reale
situazione in quel momento particolare. Non a caso, prima di poter
elaborare il discorso dei Giusti di Yad Vashem e Gariwo, sono passati
degli anni e si sono creati dei criteri. Più questi criteri tendono a
diventare astratti, più sono difficili da applicare.
Più in generale, qual è la posizione della Comunità ebraica italiana?
La
comunità ebraica è sempre stata riconoscente nella storia a chi ha
fatto il bene. Ci sono tanti esempi anche nella Bibbia di riconoscimento
del bene che hanno fatto gli altri. Bisogna però contestualizzare il
discorso dei Giusti alle singole situazioni. Se era un Giusto Noè, era
un Giusto anche Abramo, ma era un quadro completamente diverso. Il
pericolo che alcuni vedono è quello che si possano paragonare i genocidi
come la Shoah o il genocidio armeno ad altre situazioni, e così
banalizzati. Il tentativo di sterminio di un popolo è un discorso
razziale, non politico; non è il tentativo di eliminare gli oppositori o
la limitazione delle libertà. Ferma restando questa differenziazione,
la comunità ebraica non è contraria al riconoscimento di chi ha
combattuto il male.
Secondo lei in che modo questo tipo di memoria può educare alla responsabilità personale senza fermarsi all’aspetto commemorativo?
Ricordare le scelte che sono state fatte, i bivi a cui una persona si è trovata di fronte per rispondere alla barbarie deve insegnare come comportarsi e come affrontare certe situazioni, prendendo come esempio le storie dei Giusti. Educere, da cui deriva il verbo educare, significa appunto condurre, estrarre, fa capire come una persona possa o dovrebbe avere il coraggio di difendere la verità. Ci sono diversi modi per attirare l’interesse dei giovani su queste vicende, ma è necessario discutere con loro per far capire come, in determinate circostanze, i Giusti hanno dovuto valutare la situazione e prendere delle decisioni. È proprio questo percorso che può portare i giovani a pensare da soli e a superare l’indifferenza. Come è stato infatti ricordato all’inaugurazione del Memoriale della Shoah di Milano, noi non possiamo dirci estranei alla realtà che ci circonda, se si verificano situazioni che opprimono i valori fondamentali dell’esistenza umana. Non possiamo dire “noi non c’eravamo”, non possiamo girare la testa dall’altra parte. Bisogna imparare ad assumersi le proprie responsabilità.
Partendo da questi presupposti, secondo lei chi sono i Giusti oggi?
È difficile dirlo, proprio perché va sempre analizzato il contesto. Di sicuro è Giusto chi ha rischiato la propria vita per soccorrere qualcuno o per testimoniare la verità di un genocidio. E noi dobbiamo insegnare il messaggio dei Giusti, sostenere la necessità di combattere perché la verità venga riconosciuta e non eliminata.