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Gli uomini che hanno salvato Asia Bibi

difendere le minoranze non islamiche in Pakistan

Asia Bibi

Asia Bibi

Il mese di ottobre si è chiuso con l’assoluzione e la scarcerazione di Asia Bibi, arrestata nel 2009 nella provincia del Punjab, in Pakistan, e condannata a morte nel 2010 per blasfemia. La ragazza, di fede cristiana, era stata incolpata da alcune donne musulmane di aver dissacrato il nome di Maometto durante una discussione, a seguito della quale era stata picchiata e insultata.

Nel 2016, Amnesty International ha denunciato la legge sulla blasfemia del Pakistan come strumento di pressione nei confronti delle minoranze non islamiche: anche se un accusato, dopo lunghissimi processi, viene prosciolto e rilasciato, spesso continua a subire minacce di morte. Gli avvocati, inoltre, tendono ad abbandonare la difesa per paura delle forti ripercussioni a cui possono andare incontro, temendo per se stessi e per la propria famiglia. Non è difficile crederlo, se si pensa che ci sono già state due vittime tra chi ha difeso Asia Bibi da una sentenza inumana: Salman Taseer e Shahbaz Bhatti. Il primo, musulmano, Governatore del Punjab, ucciso a 66 anni con nove colpi alla testa da uno degli uomini della sua stessa scorta per essersi opposto apertamente alla legge sulla blasfemia. Il secondo, a due mesi di distanza, Ministro pakistano per le minoranze, freddato dai talebani dopo una visita alla madrenel centro di Islamabad, per aver preso posizione in favore di Asia.

Oggi la donna, dopo 3.422 giorni di prigionia, è quasi libera - tra la sentenza e la liberazione intercorrono dieci giorni per le formalità burocratiche -, ma la questione non si conclude qui. Difficile prevedere quello che potrebbe succedere. Molti partiti fondamentalisti hanno protestando in piazza contro la scarcerazione, gridando “a morte i giudici”, e il governo pakistano sembra aver fatto marcia indietro, chiedendo di bloccare Asia in Pakistan, anche se con scarse possibilità di riuscita. L'avvocato di Asia, il musulmano Saif-ul-Malook, atterrato a Fiumicino il 2 novembre per sfuggire ai fanatici che lo vogliono morto, è il terzo uomo in grave pericolo. “Questo è il giorno più bello e più felice della mia vita, ha dichiarato dopo la vittoria in tribunale, ma io sono l'obiettivo più facile, chiunque può uccidermi. Se conduci questi casi, devi essere pronto alle conseguenze. Penso che sia meglio morire da uomo coraggioso e forte che morire come un topo”. Ul-Malook ha risposto all’inviata di Corriere che lo ha intervistato sul volo Roma-Amsterdam, dicendo che non si pente di quello che ha fatto: “ho lavorato duramente per tre anni e infine trovato le incongruenze tra le testimonianze che hanno permesso di revocare l’accusa ad Asia”. La sua paura è soprattutto per la moglie e la figlia di 12 anni che ha lasciato in Pakistan, senza sapere per quanto verranno protette dalla polizia, e se potranno raggiungerlo a Londra, dove è diretto.

Tra i musulmani coraggiosi del “caso Asia Bibi”, c’è anche il presidente della Corte suprema Mian Saqib Nasir, il magistrato che l’ha assolta commentando: “io sono giudice anche per i cristiani”.

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