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I Giusti che ci fanno vincere le nostre paure

di Gabriele Nissim

Hamadi ben Abdesslem

Hamadi ben Abdesslem

Ci sono iniziative politiche di uomini che, senza cambiare apparentemente il corso degli avvenimenti, possono da un punto di vista simbolico rappresentare un nuovo inizio all’interno della Polis, come scriveva Hannah Arendt.

Niente è stato uguale in Russia dopo la protesta nel 1968 di pochi dissidenti sulla Piazza Rossa, dopo l’invasione sovietica della Cecoslovacchia. Si era rotto per la prima volta un meccanismo di omertà e di paura, anche se quei pochissimi che osarono manifestare furono dopo pochi minuti brutalmente arrestati; la stessa cosa è avvenuta in Plaza de Majo a Buenos Aires, quando poche madri si raccolsero sulla piazza per chiedere le notizie dei loro figli scomparsi dopo il golpe sanguinoso di Videla e ruppero clamorosamente il silenzio di fronte ai crimini del regime.

Qualche cosa di nuovo e inaspettato potrebbe accadere nella complessa battaglia culturale contro il terrorismo nel mondo islamico, ma anche in Europa, dopo l’incontro che avverrà a Milano tra la guida tunisina Hamadi ben Abdesslem e i turisti da lui salvati al Bardo, a due anni dall’attentato dell’Isis al Museo.

È l’iniziativa più importante delle celebrazioni della Giornata europea dei Giusti, ricordata in ottanta città d’Italia e d’Europa, da Londra, a Varsavia, a Roma, ad Agrigento, ma anche in Tunisia e in Israele, incentrata sul tema del dialogo e della lotta contro l’odio.

Infatti i due mostri che rischiano di imbarbarire la nostra condizione umana sono da un lato la violenza terroristica globale, che propone una sorta di apocalisse islamica, dove alcune persone del tutto normali, si ergono a vendicatori e giustizieri, creando il panico e l’insicurezza nella nostra vita quotidiana, poiché colpiscono a caso tutti i luoghi della convivenza umana, dalle piazze, ai musei, ai teatri, agli aeroporti; dall’altro lato la paura dell’immigrazione, alimentata dai discorsi catastrofisti, che porta a ritenere che sia necessario chiuderci a riccio per impedire la contaminazione della nostra società.

Ecco allora che i populisti giocano sulla paura per disumanizzare i migranti che ci chiedono aiuto, presentandoli come dei potenziali terroristi. Gli attentati sarebbero l’anticamera di un’invasione islamica che ci porta alla catastrofe. Così Steve Bannon, il più importante consigliere di Donald Trump, e Marine Le Pen in Francia citano non a caso il libro di Jean Raspail, Il campo dei santi, che descrive la fine disastrosa dell’Occidente con l’arrivo dei migranti.

C’è qualche cosa che invece può incrinare questa paura e creare un orizzonte comune tra noi e quel mondo arabo che cerca l’emancipazione, come auspicava il sociologo Zygmunt Bauman, quando parlava del valore terapeutico di un’esperienza comune tra uomini di diverse culture. Sicuramente è il riconoscimento pubblico dei Giusti arabi e musulmani che rappresentano una barriera contro il terrorismo, su cui fino ad ora è mancata una seria riflessione.

Così la festa che i salvati dagli attentati faranno al Giardino dei Giusti di Milano ad Hamadi ben Abdesslem e agli altri protagonisti della resistenza al terrorismo e al fondamentalismo, non solo può rompere molti schemi, ma anche creare un nuovo inizio: un dialogo creativo per affrontare insieme la violenza e superare i pregiudizi attorno ai musulmani.

È una grande occasione nella vita pubblica che potrebbe creare tanto nei paesi arabi, quanto in Europa, la genesi di un movimento di emulazione, com’e è accaduto sulla Piazza Rossa, o in tante altre circostanze dove si sono rotte delle barriere consolidate.

Sono sempre solo gli uomini con le loro azioni che possono compiere gli unici miracoli su questa terra, come sottolineava Hannah Arendt.

Il miracolo lo ha compiufatto con la forza della sua coscienza, prima di tutto, Hamadi bBen Abdesslem quando, il 18 marzo del 2015, sentendo gli spari risuonare nella sala del museo si trova davanti a due possibilità: mettersi in salvo da solo oppure rallentare la sua fuga guidando i turisti verso la salvezza. È un eroe per caso Hamadi che si trova nel posto giusto al momento giusto?

Baruch Spinoza, come suggerisce Stevenfan Nadler nel suo libro Spinoza filosofo morale, distingue due tipi di reazione di fronte alle ingiustizie e alle sofferenze: un comportamento che nasce dalla compassione e da un istinto emozionale, oppure una responsabilità che nasce da un desiderio guidato dalla ragione e da idee adeguate. Hamadi non agisce di riflesso, ma con un pensiero consapevole. Lo ha elaborato nel corso di tanti anni con una maturazione personale. Dunque è in primo luogo l’intenzione che ha guidato il suo comportamento.

Hamadi mi ha infatti spiegato come la sua vita sia stata segnata da due esperienze interiori. Per lui la religione islamica rappresenta un processo spirituale, dove ciò che conta non sono né i testi del Corano né la frequentazione delle moschee, quanto piuttosto un continuo interrogarsi, giorno dopo giorno, su ciò che è bene e ciò che male. Il musulmano deve dialogare con Dio senza intermediari che gli dicono cosa fare e così ritrovare da solo l’imperativo della sua coscienza. In secondo luogo, nella sua esperienza di guida turistica, venendo a contatto con genti diverse in viaggio in Tunisia, ha conosciuto il grande valore della pluralità del mondo. Ha così compreso come sia inutile erigere delle barriere contro fedi e culture differenti, perché in ogni uomo apparentemente diverso esiste una somiglianza che ci fa comprendere il destino comune di tutta l’umanità. Ecco perché, quando si è trovato davanti ai terroristi, ha forse avuto meno paura di fronte alle loro minacce:, perché ha capito subito che difendere il museo e le vite degli italiani significava prima di tutto salvaguardare la bellezza della pluralità degli uomini e di un patrimonio archeologico di tutta la civiltà umana.In quegli attimi terribili ha compreso che era in gioco il mondo in cui credeva, e dunque valeva la pena rischiare.

Hamadi però non si è fermato a quell’episodio, e nemmeno ha scelto di presentarsi come una figura narcisista che ama cercare degli onori, a seguito di una azione meritevole. La guida tunisina ha scelto ancora una volta di rischiare e di presentarsi sulla scena pubblica come un paladino della lotta al terrorismo e del dialogo tra le culture e le religioni. Ha così deciso di diventare una figura di riferimento morale nel suo Ppaese e ha accettato di essere onorato l’8 marzo a Neve Shalom, vicino a Gerusalemme da israeliani e palestinesi, per indicare la via della pace e del dialogo. “Se ci sarà la pace sulla vostra terra, ha dichiarato in un video registrato, sarà un grande esempio per il mondo intero.”

Non accade spesso che un arabo accetti di avere un rapporto con lo Stato israeliano. Tanti sono gli atleti, gli attori, gli intellettuali che rifiutano persino di stringere la mano a ud in israeliano, ma quando si rifiuta la violenza e si cerca il dialogo, come ha insegnato Mandela, anche i cuori sordi possono cambiare.

Hamadi in questi due anni ha cercato di riempire il vuoto più pesante che lo angosciava; ha voluto rintracciare i turisti italiani che aveva salvato da una morte certa e che per troppo tempo si erano dimenticati di lui. 
Gariwo lo ha aiutato con successo con una campagna di comunicazione e così i salvati potranno finalmente esprimere gratitudine al loro salvatore nella più importante manifestazione di solidarietà nei confronti dei Giusti arabi, contro il terrorismo e il fondamentalismo.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

13 marzo 2017

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