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Jacqueline Moudeina (1957)

la donna che ha portato a processo l'ex dittatore del Ciad Hissene Habré

Nata nel 1957 in Ciad, Jacqueline Moudeina studiava alla facoltà di Inglese quando nel 1979 scoppiò la guerra civile che la costrinse a lasciare il Paese. Si recò quindi in Congo con il marito, dove rimase per 13 anni e dove, nel 1988, divenne avvocato.

Dal 1982 al 1990 il Ciad visse sotto la sanguinosa dittatura di Hissene Habré, deposto da un colpo di stato guidato dal generale Idriss Déby e fuggito poi in Senegal. La Commissione sui crimini e sulla corruzione del regime del presidente Hissène Habré, creata nel 1991 per indagare sui sequestri, le incarcerazioni illegali, gli assassini, le torture e tutte le altre violazioni dei diritti umani, stabilì che il regime era responsabile di 40.000 omicidi politici e pubblicò i nomi degli agenti dei servizi segreti che avevano torturato e ucciso gli oppositori. Come spesso accade dopo una dittatura, molti di loro occupavano ancora posizioni di rilievo nel governo.

Nel 1995 Jacqueline tornò in Ciad, dove intraprese la carriera legale, fino a diventare Presidente dell’Associazione Ciadiana per la promozione e la difesa dei diritti umani. Insieme ai sopravvissuti, iniziò a raccogliere prove sui crimini commessi. “Avevamo davanti a noi il caso Habré - ha dichiarato Jacqueline -. Risultavano 40.000 morti e migliaia di persone scomparse, e sapevamo che i responsabili di quelle atrocità erano ancora impuniti”.
Nel 2000, quando altri avvocati del Ciad si rifiutarono di farsi coinvolgere, Jacqueline intentò una causa contro Habré in Senegal e contro i suoi agenti nei tribunali del Ciad. “É stata una lunga battaglia, queste denunce sono state trattate solo 13 anni dopo, quando sono state aperte le Camere Straordinarie Africane incaricate di processare Habré”.

Queste azioni misero in serio pericolo la sua vita. Nel 2001, mentre era impegnata in una manifestazione pacifica, la polizia lanciò una granata e le sparò. Jacqueline riuscì a salvarsi per un soffio. “Sono rimasta 15 mesi a letto in Francia per curarmi, ho subito 4 operazioni ma continuo ad avere problemi. Mi capita che non riesca più camminare e debba mettermi a letto per qualche giorno. Sono stata anche pedinata fino a davanti a casa mia, mentre un’altra volta sono stata seguita da un veicolo all’uscita di uno studio televisivo. Vivo continuamente sotto pressione”.

Nonostante gli sforzi di Jacqueline Moudeina per processare Habré e i suoi collaboratori, nel 2001 l'Alta Corte senegalese ha respinto il caso perché fuori dalla propria giurisdizione. Le vittime si sono quindi rivolte al Belgio, in base alla giurisdizione universale, e sono riuscite a vedere l’ex dittatore accusato di crimini contro l'umanità, crimini di guerra e genocidio. Ritenuto tuttavia una “questione africana” dal governo senegalese, il caso Habré è stato sottoposto all’Unione Africana nel 2005. Il Senegal ha continuato a rinviare il processo al dittatore fino a quando la Corte internazionale di giustizia ha stabilito, con una sentenza storica del 20 luglio 2012, che il Senegal aveva violato i suoi obblighi ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, e che doveva quindi processare Habré "senza ulteriori indugi”.
A seguito della sentenza, il governo del Senegal ha così creato un Tribunale speciale in Senegal, noto come "Camere Straordinarie Africane”, che il 30 maggio 2016 ha condannato Habré all’ergastolo per crimini contro l'umanità, crimini di guerra e tortura, inclusi violenza sessuale e stupro.

Fondamentale in questo processo, ancora una volta, il ruolo di Jacqueline Moudeina: non solo si era impegnata a dare il via al procedimento, ma era anche diventata l’avvocato delle vittime della dittatura. Ottenere le testimonianze è stato molto delicato. Nei sopravvissuti c’era ancora la paura degli anni del regime, quando in una famiglia il marito aveva paura della moglie e viceversa, e entrambi temevano i propri figli poiché bastavano poche parole per sparire. Inoltre, per molte donne è stato difficile testimoniare le violenze subite. “Ci sono donne che sono state arrestate, detenute a N’Djamena e poi trasportate nelle caserme per servire da oggetto sessuale ai militari. Da noi non si parla di violenza sessuale, causa troppa vergogna, e queste donne che lo hanno fatto davanti alla sbarra e a tutto il mondo sono state molto coraggiose”, ha dichiarato Moudeina.

Nel 2011 Jacqueline ha ricevuto il Right Livelihood Award (considerato come il Premio Nobel per la pace alternativo) “per i suoi instancabili sforzi, con grande rischio personale, per ottenere giustizia per le vittime dell'ex dittatura in Ciad e per aumentare la consapevolezza e il rispetto dei diritti umani in Africa”.

Oggi, attraverso l’Associazione Ciadiana per la promozione e la difesa dei diritti umani, Jacqueline lavora per rendere le persone consapevoli dei propri diritti, per far rispettare la dignità delle donne, i diritti dei bambini e dei prigionieri, e per far sì che la memoria di quanto è accaduto serva per ridurre l’impunità.

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