Ferroviere impiegato presso la stazione di Roma Tiburtina, nel 1943 aveva il compito di assistere al convoglio di carri merce piombati che partivano dal primo binario della stazione ferroviaria. Presto si rese conto che in quei vagoni erano stipate intere famiglie ebree romane dirette ad Auschwitz-Birkenau.
Nato a Orbetello, nella provincia di Grosseto, si trasferì a Roma per lavoro. Era un guardasala notturno quando dal 1943 al 1944 decise di contravvenire agli ordini, rischiando il lavoro e la sua stessa vita, per aiutare segretamente i prigionieri a fuggire. Bolgia si avvicinava ai convogli, spiombava le porte dei treni e liberava i gruppi di ebrei che altrimenti sarebbero stati deportati nel campo di sterminio di Auschwitz.
Purtroppo, una mattina di marzo del ’44 Michele Bolgia non fece ritorno a casa dai suoi due figli, che insieme alle zie si adoperarono per cercarlo. La storia è ben documentata dal figlio Giuseppe in un articolo del 24 marzo 2001 pubblicato sul Corriere della Sera. Di quella mattina racconta: «preoccupati di non vederlo tornare io e mia zia andammo a cercarlo ovunque». Nonostante Bolgia non condividesse esplicitamente il proprio credo politico in casa, era chiaro anche al giovane figlio che il padre fosse un simpatizzante antifascista.
Il presentimento che Bolgia fosse stato scoperto e catturato si rivelò presto reale: «Ci dissero che c’erano stati dei rastrellamenti. L’avevano preso alle 7 del mattino insieme ad altre [persone] sull’8, il tram che allora andava dalla Stazione a Piazza Bologna» racconta Giuseppe. Il 5 aprile 1944 arrivò una comunicazione via posta indirizzata alla famiglia Bolgia da parte delle SS che in tedesco comunicò la morte del padre Michele in data 24 marzo “Michele Bolgia ist am 24.3.1944 gestorben”.
Bolgia venne catturato il 14 marzo 1944 e dichiarato morto il 24 marzo dello stesso anno. Il corpo fu poi ritrovato tra gli altri nelle Fosse Ardeatine ad ottobre e riconosciuto dal figlio Giuseppe grazie ad alcuni dettagli dei vestiti, all’orologio Roskoff in dotazione ai ferrovieri e all’agenda in cui erano trascritti i contatti dei propri famigliari.
La famiglia di Bolgia scoprì solo dopo molti anni le attività clandestine di Michele, che non solo spiombava i treni per salvare i deportati, ma raccoglieva i biglietti che lasciavano cadere dai carri, consegnava i messaggi ai famigliari dei prigionieri e riuscì anche a portare in salvo due bambini ebrei consegnandoli ad un convento.
La storia di Bolgia incrocia l’impresa dei Finanzieri antifascisti, come è stato ricostruito nel libro L’Angelo del Tiburtino (Chillemi, 2011), a cura del Capitano della Guardia di Finanza Gerardo Severino.
Il 16 luglio 2010 è stata conferita al ferroviere la Medaglia d’oro al Merito Civile.
Bibliografia essenziale
Severino, G. (2011). L’angelo del Tiburtino. Storia di Michele Bolgia, il ferroviere che salvò centinaia di deportati. Chillemi
Mausoleo Fosse Ardeatine [https://www.mausoleofosseardeatine.it/vittime/dettaglio/?id=29 ]
De Vincentiis, M. (2011) “E lui, il ferroviere Michele liberava dai vagoni i deportati” in Patria Indipendente, numero 8 (settembre) : 28-30 [https://www.anpi.it/media/uploads/patria/2011/28-30_DE_VINCENTIIS.pdf ]
Giardini che onorano Michele Bolgia
Michele Bolgia è onorato nel Giardino di Orbetello.