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Una notte di speranza a Lampedusa

di Gabriele Nissim

Il monumento inaugurato a Lampedusa

Il monumento inaugurato a Lampedusa

Quattro parole danno il senso della manifestazione di questa notte a Lampedusa. Parole che sono il messaggio del monumento pensato e realizzato da Vito Fiorino e che Gariwo ha sostenuto.

Giustizia, perché si trattava prima di tutto di dare un nome alle vittime affinché non ci fossero solo numeri, ma volti di individui con una loro storia particolare, che non doveva essere dimenticata. E quando le vittime hanno un nome, come scriveva la poetessa Anna Achmatova a Mosca, allora tutti sono chiamati ad assumersi una responsabilità. Eccidi senza il ricordo dei nomi servono a chi vuole rimuovere le sofferenze e anestetizzare le coscienze.

Scelta, perché quanto è accaduto quella notte tragica del 3 ottobre non è avvenuto per caso, ma perché alcuni sono stati indifferenti, come spiegano nell’iscrizione le parole di Vito, mentre altri non si sono voluti arrendere e non si sono nascosti.
Chi si è gettato in mare non solo ha salvato delle vite, ma ha mostrato a tutti che ognuno di noi nel suo piccolo ha sempre una possibilità di scelta. Le morti nel Mediterraneo non sono catastrofi naturali, ma avvengono in una catena che può essere spezzata da uomini con una dignità e una coscienza.
Non è soltanto una scelta che può portare all’aiuto di un profugo che muore in mare, è un gesto che va ben oltre. Significa che nel momento dell’incontro tra il salvatore ed il salvato nasce la consapevolezza per quanto oggi accade nelle regioni martoriate dall’Africa. Perché molti non vorrebbero aiutare i migranti e preferirebbero che rimanessero nei campi della Libia e della Turchia? Perché se si ha come vicino di casa o compagno di banco un giovane africano che ha dovuto lasciare il suo Paese per la sopravvivenza o perché attratto da un destino migliore, ci si deve interrogare sul futuro di quel continente e non fare finta che la sua storia non ci riguarda.

Quando ho parlato questa sera con alcuni dei giovani salvati da Fiorino, ho compreso che dovremmo usare l’immaginazione, leggere dei libri, conoscere meglio i loro Paesi per sentirci anche noi "africani". Se si fa questa operazione con il cuore e con la mente non solo si ha un diverso approccio nell’accoglienza, ma ci si può immedesimare nelle loro storie. Così l’Africa diventa parte del nostro mondo, come lo sono l’America e tutti i Paesi europei.

Responsabilità, come ci hai segnato Vito Fiorino, non significa fare solo un gesto e poi vantarsi per un atto di eroismo, ma significa prendersi cura in profondità di quella situazione che ci ha toccato. Si accoglie così il proprio destino e lo si porta fino in fondo, come scriveva Agnes Heller. Per questo Vito ha voluto tenere i contatti con i salvati, ha cercato i nomi dei morti, ha cominciato a girare nelle scuole, ha voluto con la sua determinazione che si realizzasse questo monumento, ha trovato i sommozzatori che recuperassero pezzi di legno della nave per esporli all’interno della sua opera.
Ha così voluto dare, con il suo comportamento, una lezione morale a tutto il nostro Paese.

Speranza è forse la parola più importante di questa notte. C’era commozione, affetto, amicizia. Una serata magica. Il motivo è che, uniti come nella catena della ginestra di Leopardi, si può ritrovare il senso della vita, riconoscendo che la propria fragilità diventa una forza quando si agisce insieme.

Vito Fiorino ha risvegliato in questa notte il gusto di vivere come uomini solidali, e non come individui egoisti che si fanno la guerra e che, proprio per questo, possono essere solo infelici.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

3 ottobre 2019

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