“Non c’è da vergognarsi nell’essere un rifugiato se ricordiamo chi siamo. Siamo ancora i medici, gli ingegneri, gli avvocati, gli insegnanti, gli studenti che eravamo quando ci trovavamo nelle nostre case. Siamo ancora madri e padri, fratelli e sorelle. Sono state la guerra e le persecuzioni a costringerci ad abbandonare le nostre case per cercare la pace. Questo vuol dire essere un rifugiato. Ecco chi sono io. Ecco chi siamo tutti noi, quella popolazione senza patria che cresce di giorno in giorno. Sono una rifugiata e sono orgogliosa di battermi per la pace, l’onore e la dignità di tutti coloro che fuggono dalla violenza. Unitevi a me. State dalla nostra parte.” Sono le parole di Yusra Mardini, la nuotatrice e atleta olimpionica siriana diventata simbolo del coraggio e della resilienza di tutti i rifugiati del mondo.
La sua storia comincia a Damasco, quella capitale una volta culla della cultura mediorientale, con le sue scuole che attiravano studenti da tutto il mondo. Yusra nasce proprio lì il 5 marzo 1998, secondogenita di Ezzat e Mervat Mardini che hanno già una bimba di 3 anni, Sara. Ezzat è un nuotatore e fin dai primi mesi di vita trasmette alle figlie la passione per l’acqua e per il movimento sinuoso del corpo in una piscina. E così, Yusra comincia a nuotare già a 3 anni, quando la sorella ne ha 6, e già partecipa a qualche gara a cronometro. Tra le due sorelle, Yusra sembra avere un talento naturale che, abbinato alla sua forza mentale e alla concentrazione, la rendono molto più competitiva. Mentre Sarah nuota senza particolari obiettivi, Yusra mette nel nuoto impegno e dedizione, tanto che il padre Ezzat ne riconosce le potenzialità. La vita della famiglia Mardini è allietata dalla nascita di un’altra bambina, Shaed, e prosegue con tranquillità. Ma le cose cambiano improvvisamente.
Quando nel 2011 anche la Siria si desta sull’onda delle primavere arabe, le proteste che accendono l’intera regione mediorientale e nordafricana, a Damasco il clima diventa molto teso. Nella capitale, dove ha sede il palazzo del presidente Bashar al Assad, infatti, si concentrano tutte le proteste dei cittadini, stanchi di subire un regime che da oltre 40 anni sferza il Paese. Yusra e la sorella Sara continuano la loro vita, tra piscina, scuola e amici. Man mano che la rivoluzione siriana cambia, trasformandosi in guerra civile e poi in guerra internazionale, la condizione di vita dei cittadini di Damasco diventa precaria.
Anche la famiglia Mardini è costretta a fare i conti con i bombardamenti, i saccheggi, le violenze in strada ma nel 2015 accade qualcosa che segna profondamente la vita di Yusra. Mentre è in piscina ad allenarsi, una bomba cade sulla struttura, buca il tetto e finisce nella vasca. Per una frazione di secondi Yusra pensa di morire, ma il destino le salva la vita. La bomba, infatti, è difettosa e non esplode, andandosi a adagiare sul fondo.
L’episodio convince Yusra che, forse la sorella Sara ha ragiona: bisogna andar via. È già da qualche mese, in effetti, che Sara e due cugine stanno meditando di scappare dalla Siria e andare in Europa, ma l’idea è ancora in fase embrionale. In più, i genitori hanno paura, temono che il viaggio possa essere troppo complicato e rischioso. Quando, però, i bombardamenti su Damasco diventano più intensi, la fuga diventa concreta possibilità di salvezza. E così, Yusra, la sorella Sara e due cugine salutano famiglia e amici e partono per il loro viaggio, affidate a un amico del padre.
Seguendo una rotta che inizia a essere molto battuta dai profughi, il gruppo con cui viaggi Yusra fa tappa a Beirut. Da lì, con bus e passaggi in auto, arriva fino a Istanbul e da lì raggiunge la costa di Smirne. Perché è proprio lì che si sta sviluppando una rete di contrabbandieri in grado di portare i migranti verso la Grecia. Pagando molti soldi, Yusra, la sorella, le cugine e l'amico si affidano a un trafficante che le nasconde in un appartamento fino al momento della partenza. Il primo tentativo di prendere il mare va a vuoto. Al secondo, invece, il gruppo di profughi viene stipato su un gommone, troppo piccolo per il numero di persone, e prende il largo.
Durante la traversata, però, una tempesta si abbatte sulla zona di navigazione. Il mare è gonfio, le onde alte e il bordo del gommone è troppo vicino al pelo dell’acqua, a causa del peso eccessivo. E infatti, l’imbarcazione comincia a riempirsi d’acqua e il motore si spegne. A quel punto, il panico a bordo cresce di minuto in minuto, ma l’agitazione dei passeggeri non aiuta, con movimenti bruschi che rischiano di far cappottare tutti. Con l'ansia, il gruppo chiama la polizia turca, che intima di tornare indietro, mentre il trafficante che gli ha venduto il viaggio non risponde.
A quel punto Yusra e la sorella Sara, esperte nuotatrici si buttano in acqua per alleggerire il gommone e cominciano a nuotare sui due lati per stabilizzare l’imbarcazione. Le ragazze riescono a trascinare l'imbarcazione tra le onde, con l’aiuto di altri due uomini, che si danno il cambio durante tutto il tempo. Sara nuota per quasi quattro ore ininterrottamente aiutata da Yusra nell'ultima ora fin quando il motore si riaccende. Le due, tornate a bordo, sentono l’affetto e la riconoscenza di tutti i passeggeri, vivi solo grazie al loro sforzo fisico. Yusra e Sara trascinano, letteralmente, in salvo l’intera comitiva che al mattino, finalmente, sbarca sull’isola di Lesbo.
Accolte per qualche tempo nel campo di Moira, le sorelle Mardini decidono di continuare il loro viaggio. Il loro obiettivo è arrivare in Europa per poi chiedere lo status di rifugiate e mettere in salvo anche il resto della famiglia. Ezzat, Mervat e Shaed Mardini, infatti, sono ancora in Siria, sotto le bombe. Dalla Grecia, dunque, Yusra e Sara riprendono il cammino e, sempre con l’aiuto saltuario di trafficanti, un po’ a piedi, un po’ in treno arrivano in Macedonia del Nord per poi, da lì, risalire l’intera rotta balcanica. Attraversano, così, Serbia, Bosnia, Croazia, Slovenia, Austria fino ad arrivare in Germania, dove vengono accolte a Berlino. Yusra e la sorella trascorrono moltissimi mesi nel campo profughi della città, ma Yusra sente la mancanza del nuoto e sente che il suo fisico sta perdendo il suo consueto tono. Nonostante le difficoltà, ha bisogno di muoversi e allora comincia ad allenarsi.
Nel campo, corre, fa le flessioni, gli addominali, gli allunghi e piano piano i suoi muscoli tornano ad essere vigorosi, anche se manca ancora un tassello: manca l’acqua clorata di una piscina in cui Yusra può muoversi e sentirsi di nuovo a casa. Vedendola così determinata qualcuno le riferisce che proprio a pochi passi dal centro di accoglienza c’è il Wasserfreunde Spandau 04, un centro sportivo dotato di piscina olimpionica. Yusra, allora, chiede di poterla frequentare e, ottenuto il permesso, si reca alla struttura spiegando la sua situazione. Lì conosce un allenatore tedesco, Sven Spannekrebs il quale, notato il talento della ragazza, le propone di cominciare insieme un allenamento agonistico. Sven riesce a far trasferire Yusra e la sorella in uno studentato vicino alla piscina, così da permettere alle due atlete, ma soprattutto a Yusra, di dedicare tutto il tempo all’allenamento. I risultati arrivano in fretta, così come altrettanto in fretta sta cambiando la vita di Yusra e Sara.
Nel marzo del 2016 Yusra ottiene il pass per partecipare alle XXXI Olimpiade di Rio de Janeiro in programma dal 5 al 21 agosto 2016. La nuotatrice, infatti, diventa membro della nuovissima squadra degli Atleti Olimpici Rifugiati ideata dal Cio, il Comitato Olimpico Internazionale come “simbolo di speranza per i rifugiati”. Insieme a lei, nel team rifugiati ci sono altri nove atleti provenienti da quattro distinti Paesi: James Chiengjiek, Yiech Biel, Paulo Lokoro, Rose Lokonyen e Anjelina Lohalith, Misenga, Yolande Mabika, Yonas Kinde e un altro nuotatore siriano, Rami Anis. Un po’ intimorita dalla nuova avventura, Yusra parte con Sven alla volta di Rio ed è catapultata in un mondo che le è totalmente estraneo. La confusione, la pressione dei media, la folla, i flash dei fotografi la rendono nervosa, ma c’è sua sorella Sara, arrivata a sorpresa per tenerle la mano.
Alle Olimpiadi di Rio non vince alcuna medaglia, ma la soddisfazione di essere arrivata fin lì, nonostante la guerra, le difficoltà, la morte schivata più volte per un soffio, è più preziosa di qualsiasi metallo. "Il momento in cui sono entrata nello stadio ha cambiato il mio modo di pensare alla parola rifugiato. So che forse non sto portando la bandiera del mio Paese, ma sto portando la bandiera Olimpica, che rappresenta il mondo intero", dice Yursa in una intervista con la campionessa Olimpica Katie Ledecky.
Nonostante non abbia vinto, la storia di Yusra Mardini monopolizza i media che seguono le Olimpiadi, tanto che la sua fama supera la cerchia di appassionati allo sport. Di lei e della sorella, infatti, cominciano a parlare in tutto il mondo. Giornali e tv raccontano della guerra in Siria, della fuga, del coraggio nel nuotare per la salvezza del gruppo di migranti con cui sono in mare e della sua passione vitale per lo sport. Yusra comincia, così, a rappresentare i rifugiati siriani in fuga dalla guerra ma poi, via via, anche tutti gli altri rifugiati del mondo. E infatti, nel 2017 l’UNHCR la sceglie come Ambasciatrice di Buona Volontà. È la più giovane ambasciatrice di tutti i tempi.
Nello stesso anno Yusra Mardini partecipa ai mondiali di Budapest, gareggiando per la Federazione internazionale di nuoto come atleta indipendente mentre nel 2021 diventa la portabandiera della squadra dei rifugiati alle Olimpiadi di Tokyo 2020 (disputate l’anno successivo a causa della pandemia di Covid 19). Nel frattempo, Yusra e la sorella avviano le pratiche per ottenere la cittadinanza tedesca mentre anche il padre, la madre e l'altra sorella decidono di lasciare la Siria. Seguendo la stessa rotta percorsa qualche anno prima dalle figlie, il resto della famiglia Mardini riesce ad arrivare in Germania per ricongiungersi. Sono di nuovo tutti insieme, in salvo.
L’ultima gara agonistica, Yusra Mardini, l’ha disputata per la Squadra Rifugiati ai Campionati del mondo del 2022 a Budapest e nel giugno del 2023 ha annunciato il suo ritiro sui social.
“Il nuoto è stato la mia seconda casa negli ultimi 8 anni, ma è giunto il momento di prendere le distanze e passare al prossimo capitolo. Il nuoto mi ha dato molto: stabilità nei momenti più difficili, forza attraverso le lezioni di vita che ho imparato, mi ha insegnato determinazione e disciplina, e soprattutto, mi ha regalato amicizie che porterò con me per sempre. Il nuoto è stato una casa per me quando non ne avevo una, e ancora oggi sono grato che il nuoto mi abbia dato la possibilità di aiutare i rifugiati in tutto il mondo. A nove anni avevo il sogno di competere alle Olimpiadi; quindi, ho praticato nuoto senza sosta e sono stata così determinata da riuscirci.
Nel 2011 il mio desiderio sembrava molto lontano dalla realtà, poiché il mio paese era in guerra, ma non ho mai smesso di sognare perché ero e sono ancora così appassionato di nuoto. Nel 2015, mia sorella e io abbiamo deciso di lasciare la Siria per trovare sicurezza in Germania. Potrà sembrare pazzesco, ma la mia prima priorità arrivando in Germania era trovare una piscina per poter riprendere gli allenamenti. Qualche mese dopo l'integrazione nella Squadra Olimpica dei Rifugiati mi ha permesso di competere realizzando il mio sogno e cambiando per sempre la mia vita.
Un grazie speciale a mio padre che mi ha insegnato a nuotare ed è stato il mio allenatore per 13 anni. Ha avuto fiducia in me ed è stato al mio fianco. Mamma, sei la persona più premurosa che conosco. Apprezzo le innumerevoli ore che hai passato ad aspettarmi per terminare gli allenamenti, così da potermi preparare un panino e asciugarmi i capelli dopo.
Voglio esprimere la mia gratitudine a tutti gli allenatori, fisioterapisti, sostenitori e a tutti coloro che mi hanno aiutato lungo il percorso e sono stati al mio fianco nei momenti belli e brutti”.
Oggi Yusra Mardini studia arti cinematografiche all’Università della California del Sud mentre sua sorella Sara è tornata a Lesbo dove lavora per una Ong che accoglie i migranti che ancora sbarcano sull’isola in cerca di salvezza. Per il suo impegno, è sotto processo e rischia 25 anni di prigione per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.
Nel 2019 Yusra Mardini ha scritto un libro con Josie Le Blond intitolato "Butterfly: da profuga ad atleta olimpica. Una storia di salvezza, speranza e trionfo". Alla sua vita è dedicato anche il film di Netflix "Le nuotatrici", diretto dalla regista britannica con cittadinanza egiziana Sally El Hosaini.
Dal marzo 2020 è onorata come Giusta al Giardino dei Giusti di Milano.
