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La legge sui Giusti dell'umanità

di Gabriele Nissim

Il Giardino dei Giusti di Milano

Il Giardino dei Giusti di Milano

La legge sui Giusti dell’umanità dovrebbe unire tutti, senza distinzione politica, religiosa e culturale nelle nostre istituzioni democratiche. Riguarda la valorizzazione di quanti, nei momenti bui dell’umanità, quando hanno prevalso leggi ingiuste e gli uomini sono stati perseguitati, si sono assunti una responsabilità personale nei confronti del male.

È una proposta che va a onore del nostro Paese, perché nel parlamento di Bruxelles l’intera nostra rappresentanza politica, senza eccezione alcuna, è stata il volano che ha trascinato tutti i deputati il 10 maggio del 2012 fino ad approvare a larga maggioranza l’istituzione della Giornata europea dei Giusti.

Il nostro è un Paese che fa conoscere la bellezza nel mondo, che lancia messaggi di pace, che ripudia la guerra e cerca di essere un esempio per la soluzione dei conflitti nel mondo.

Con la Giornata europea dei Giusti l’Italia si è assunta l’impegno di una cultura innovativa che potremmo definire la diplomazia del bene: valorizzare ovunque nel mondo - con la creazione di Giardini dei Giusti in ogni città, e con un processo educativo nelle scuole e nelle istituzioni - la conoscenza di storie di uomini esemplari che hanno difeso la libertà, la democrazia, il valore della vita umana.

È un compito importante in questa fase storica, poiché assistiamo alla nascita di culture della violenza, di cui il terrorismo è la massima espressione, e alla crescita di comportamenti pubblici e privati che incitano all’odio, alla diffamazione e alla contrapposizione. Ricordare i Giusti significa lavorare per il dialogo, per il rispetto della persona, per l’educazione alla responsabilità personale.

Grandi successi sono stati ottenuti sul piano nazionale e internazionale, perché con il grande lavoro di Gariwo, la foresta dei Giusti, sono stati creati quasi un centinaio di Giardini in Italia e all’estero. In particolare questa diplomazia del bene ha portato alla creazione di tre Giardini nell’area mediorientale (in Tunisia, Giordania e Israele), tutti con un’impronta antiterrorista e come espressione di pace e di dialogo tra i popoli. Inoltre la città di Varsavia, prendendo come esempio il Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano, ha creato nel luogo simbolo della persecuzione ebraica il primo Giardino dell’Europa centrale. Sono state create esperienze simili in Bosnia e in Ruanda. Ora con il Ministero degli Affari Esteri è iniziato un processo per rendere pubbliche le migliori figure della nostra diplomazia che si sono impegnate per la difesa di popolazioni colpite da genocidi e per atti umanitari nelle aree belliche e di crisi. A breve sarà creato un Giardino dei Giusti proprio alla Farnesina, e già da ora molte nostre Ambasciate all’estero sono impegnate per la valorizzazione di figure morali particolarmente significative.

La diplomazia del Bene ha avuto grandi risultati sul piano educativo nella lotta culturale al terrorismo, perché ha fatto conoscere in Italia e nel mondo figure importanti di Giusti musulmani che hanno salvato delle vite umane durante gli attentati. Si pensi a Lassana Bathily, che è diventato l’esempio internazionale di un giovane musulmano che salva degli ebrei durante un attentato, a Faraaz Hussein, che nell’attacco ad un ristorante a Dacca pieno di turisti italiani non ha accettato la proposta dei terroristi di salvarsi in quanto musulmano, ma si è immolato per aiutare le sue amiche, o ad Hamadi ben Abdesslem, che durante l’attacco al Museo del Bardo di Tunisi è riuscito nell’impresa di salvare quasi cinquanta italiani.
Ricordare oggi queste figure significa costruire con esempi concreti un pensiero del Bene che si dimostri più forte di quello dei terroristi. Sul piano delle idee è il modo migliore per portare alla sconfitta i seminatori di odio che giustificano in nome di Dio e della religione i più crudeli atti contro l’umanità.

LA GIORNATA DEI GIUSTI

Come rendere effettiva la Giornata dei Giusti?
Non ci sono regole, né si può pensare a un’imposizione dall’alto o a un’unica istituzione che definisca i Giusti da commemorare. Non potrà mai esistere un’autorità assoluta che possa avere il monopolio della decisione.

Il memoriale di Yad Vashem in Israele ha avuto il grande merito storico di mettere in luce per la prima volta il valore morale di chi si era si era impegnato a salvare la vita di un uomo nel corso di un genocidio. Giusto era un non ebreo che aveva salvato la vita di un ebreo.
Con questa Giornata abbiamo voluto rendere universale questo concetto poiché in ogni esperienza di genocidio e di crimini contro l’umanità sono emerse delle figure che hanno cercato di difendere la dignità umana.
Così l’intuizione nata dal giardino di Gerusalemme è diventata un esempio per il mondo intero.

La ricerca dei Giusti è quindi una esperienza plurale, perché in ogni contesto si possono rintracciare nuove figure che meritano di diventare un esempio per le nuove generazioni. 
Ogni Paese potrà scegliere una sua strada, con l’impegno delle associazioni impegnate sulla memoria che dovranno garantire la serietà del lavoro. Dobbiamo immaginare una pluralità di esperienze che nascano dai comuni, dai parlamenti, dalle scuole, dalle università, che mettano in luce esempi di coraggio morale di cittadini del proprio Paese e che abbiano anche lo sguardo rivolto a figure universali. Il Giusto è un cittadino del mondo e non ha una sola patria. Ma quando viene ricordato e valorizzato fuori dai suoi confini acquista una nuova cittadinanza, come accade normalmente per i grandi artisti, scrittori e filosofi.

È importante sottolineare che la Giornata dei Giusti del 6 marzo non rappresenta un obbligo, ma è una libera scelta che dipende esclusivamente dalla volontàdegli organi locali, degli educatori e degli insegnanti.
Sarebbe un controsenso se questa ricorrenza, che ricorda le storie di chi ha fatto delle scelte morali, fosse vissuta come un’imposizione e non come un atto di responsabilità.

CHI SONO I GIUSTI

Non esiste una sociologia dei Giusti. Non può esistere una categoria che li racchiuda tutti. Per ogni momento storico, per ogni nuovo genocidio, per ogni nuova sfida ci possono essere nuove definizioni.

Da un lato, come hanno osservato Hannah Arendt, Václav Havel e Primo Levi, la loro presenza nei momenti oscuri dell’umanità ci ha mostrato come non esista un male invincibile e demoniaco, perché i Giusti sono l’espressione più tangibile di una possibilità di resistenza da parte degli esseri umani. Il male infatti è sempre una relazione che soggioga e manipola gli uomini passivi.Accanto ai carnefici esiste sempre una zona grigia che partecipa o assiste passivamente ai crimini. Eppure questa zona grigia si può trasformare nel suo contrario, con l’iniziativa di uomini coraggiosi. Una società indifferente può cambiare quando sulla scena pubblica appaiono degli uomini responsabili.

Da un altro lato i Giusti non sono né santi né eroi e non appartengono a nessun campo politico, sociale, economico, militare privilegiato; possono essere fascisti come antifascisti, comunisti come anticomunisti, fondamentalisti come anti-fondamentalisti, secondini di una prigione o di un campo di concentramento oppure vittime e prigionieri, membri di un esercito occupante oppure resistenti contro quello stesso esercito, possono essere ladri, farabutti, prostitute, ma anche persone oneste e irreprensibili.

Ciò che conta è che a un certo punto della loro vita, di fronte a un’ingiustizia o alla persecuzione di esseri umani, sono capaci di andare con coraggio in soccorso dei sofferenti e di interrompere così, con un atto inaspettato nel loro spazio di responsabilità, la catena del male di cui sono testimoni. Questo tipo di approccio permette di valorizzare il bene compiuto dagli uomini in circostanze estreme, che spesso il peso delle ideologie impedisce di cogliere rischiando molte volte di consegnare all’oblio gesti eccezionali di coraggio civile. In Italia, per esempio, ci sono voluti molti anni prima che fosse data importanza ai salvataggi compiuti da fascisti come Giorgio Perlasca o Guelfo Zamboni, poiché la loro collocazione politica veniva considerata una colpa più rilevante di un grande gesto di generosità.

Contavano dunque, per alcuni, più le etichette politiche che le loro azioni.

È paradossale, ma anche nella riflessione sui Giusti scatta un meccanismo perverso della ricerca della perfezione, come se fosse necessario premiare soltanto la santità - che invece non esiste mai su questa terra. L’essere umano si sente rassicurato dalla ricerca di eroi e santi, quando invece l’unico bene possibile in questo mondo è quello fatto da persone normali e imperfette. Spesso è difficile accettare la fragilità del bene.
Tuttavia, sono proprio le persone normali che si battono per la dignità che devono essere valorizzate, perché trasmettono un esempio alla portata di tutti.

LE FIGURE DEI GIUSTI

Possiamo dividere schematicamente i Giusti in quattro categorie: chi presta soccorso a una vita in pericolo e chi denuncia un genocidio; chi non accetta la delazione e la menzogna e difende la pluralità umana; chi salvaguarda la propria dignità non accettando di farsi corrompere nelle situazioni estreme; chi difende la memoria di un genocidio di fronte ai negazionisti.

Importante è comunque sottolineare che le circostanze della vita producono una moltitudine di figure e di esperienze non facilmente classificabili e che la definizione del Giusto di fronte a un crimine contro l’umanità rimane sempre aperta.

La prima categoria è quella dei soccorritori.
I primi sono gli individui capaci di un atto di altruismo nei confronti di chi viene perseguitato per la propria nazionalità, per una colpa politica, per le sue idee.
Tipico è il comportamento di chi salva delle vite nelle situazioni estreme come i genocidi e le situazioni belliche, dove sono commessi crimini contro l’umanità.
È questa la figura che è stata valorizzata in Israele per ricordare chi ha salvato gli ebrei durante la Shoah.

La seconda categoria è quella di coloro che lottano per la libertà, la dignità, e la verità in un regime totalitario.
Peculiare, nel regime comunista, è la figura del dissidente o dell’oppositore che ha il coraggio di difendere la verità contro la menzogna del regime. Un individuo può cambiare il mondo esercitando la sua libertà nello spazio in cui è sovrano, e così contribuire nel suo piccolo a sgretolare la rete della menzogna del potere totalitario.
Lo aveva sostenuto nell’estate del 1973 a Mosca Aleksander Solženicyn in un documento in cui invitava i russi a vivere senza mentire. “Questa è la chiave della nostra liberazione, una chiave che abbiamo trascurato e che è pure tanto semplice e accessibile: il rifiuto di partecipare personalmente alla menzogna, anche se ricopre ogni cosa, anche se domina dappertutto. Su un punto siamo inflessibili: che non domini per opera mia”.

La terza categoria dei Giusti è rappresentata da quelle vittime che hanno la forza di difendere la propria dignità durante i momenti più terribili della persecuzione e nelle condizioni in cui una persona viene costretta dagli aguzzini ad abdicare alla propria umanità. Li possiamo chiamare gli uomini che non si piegano di fronte alla disumanizzazione.
Primo Levi e Varlam Šalamov raccontano come nei campi di concentramento nazisti e nei Gulag staliniani i prigionieri dovevano fare uno sforzo tremendo per mantenere il rispetto di se stessi e preservare la loro umanità di fronte al freddo, alla fame, alla spietata concorrenza per la vita. È una sfida terribile non diventare un delatore nel Gulag, non denunciare, per la propria sopravvivenza, gli altri prigionieri, non rubare un pezzo di pane agli altri ad Auschwitz.
Vale per tutti la dichiarazione di intenti della giovane filosofa Etty Hillesum la quale, prima di venire deportata ad Auschwitz, scriveva nel suo diario che i nazisti potevano vincere la guerra non solo con le armi e l’assassinio di massa, ma in un modo ancora più pericoloso: facendo crescere tra le vittime la pianta del male e dell’odio. Allora sì che la sconfitta sarebbe stata totale.“Il marciume che c’è negli altri, c’è anche in noi, continuavo a predicare; e non vedo nessun’altra soluzione che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappare via il nostro marciume. Non credo più che si possa migliorare qualche cosa nel mondo esterno senza avere prima fatto la nostra parte dentro di noi […] e convinciamoci che ogni atomo di odio che aggiungiamo al mondo lo rende ancora più inospitale.”

La quarta categoria di Giusti è rappresentata da coloro che hanno difeso la memoria di un genocidio di fronte a un negazionismo o si sono battuti perché gli Stati e le società in cui si era perpetrato un crimine contro l’umanità si assumessero una responsabilità morale per il ricordo di quegli avvenimenti.
È una nuova dimensione della responsabilità che diventa sempre più importante con la progressiva scomparsa dei testimoni e con la maggiore distanza da quegli avvenimenti. Si pensi al rischio che corrono quotidianamente gli intellettuali che in Turchia conducono una battaglia per la memoria del genocidio armeno, sfidando una legge di Stato che considera questa memoria un crimine, o chi nel mondo arabo conduce una battaglia controcorrente per ricordare la Shoah, che spesso viene presentata come una manipolazione storica inventata dai sionisti per giustificare i cosiddetti “crimini” contro il popolo palestinese.

Se poi guardiamo alla storia del comunismo fino al 1989, la memoria dell’Olocausto veniva spesso occultata con la teoria che gli ebrei fossero vittime del capitalismo e che non si dovesse presentare quello sterminio come una specificità ebraica. Ci furono allora due grandi intellettuali che sfidarono l’oblio comunista e corsero grandi rischi a causa delle loro posizioni. Da una parte Itsvan Bibo, il grande politologo ungherese, protagonista della rivolta del 1956, il quale dopo la guerra invitò invano la società a compiere un’opera di purificazione morale per ricordare le responsabilità ungheresi nello sterminio degli ebrei, in un clima in cui il Paese occultava le proprie colpe scaricandole sull’alleato nazista. Poi la straordinaria figura di Vasilij Grossman, che venne censurato da Stalin per avere redatto un volume a più voci che ricostruiva la storia delle vittime dell’Olocausto in Unione Sovietica.

LA RESPONSABILITÀ NEL NOSTRO TEMPO

La legge sui Giusti dell’umanità ci permette di affrontare uno dei limiti di tutte le Giornate della memoria.Le lezioni sul passato diventano sterili se non si educano i giovani alla responsabilità nei tempi in cui viviamo. È facile essere buoni ex post, condannare i nazisti, i fascisti, gli aguzzini dei campi di concentramento e dichiarare la propria simpatia nei confronti delle loro vittime. Molto più difficile è indagare nella storia passata per comprendere il mondo presente.

Con questa Giornata si invita il giovane a porsi queste domande: “Cosa avrei potuto fare ieri per aiutare gli ebrei o gli armeni, e cosa potrei fare oggi per lottare per la pace, contro il razzismo, il terrorismo e la violenza? Cosa posso fare per aiutare i migranti, i sofferenti? Come posso esercitare oggi, quello che lo stoico Marco Aurelio chiamava il mestiere di uomo?”.

La scoperta dei Giusti pone a tutti il problema della responsabilità.

Questo messaggio è molto utile per la condizione politica e culturale che vive oggi il nostro Paese. Prevale sempre l’idea che se qualche cosa non va non si possa fare nulla e che l’unica cosa possibile sia l’indignazione e la colpevolizzazione degli altri. I Giusti invece insegnano che ogni uomo nel suo piccolopuò sempre fare qualche cosa e difendere la sua integritàmorale. Chi si prende cura del proprio giardino non cambieràil mondo, ma lascia una piccola traccia che può diventare un sentiero per gli altri uomini.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

17 ottobre 2017

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