È nata nel 1946 a Kragujevac, in Jugoslavia (oggi Serbia). Compiuti gli studi di Sociologia, diventa dissidente sotto Tito e attivista dei diritti umani dopo la sua morte. Reperisce il video-prova del massacro di Srebrenica, che inchioda alcuni responsabili del Ministero degli Interni serbo alla responsabilità di aver commesso uno dei più atroci orrori dalla fine della guerra, lo sterminio e l’occultamento dei corpi di ottomila civili nelle fosse comuni. È considerata la Simon Wiesenthal dei Balcani perché si occupa di assicurare alla giustizia i responsabili serbi dei crimini commessi durante la guerra seguita allo smembramento della Jugoslavia nel 1992.
Fra i molti riconoscimenti internazionali che la riguardano, nel 2003 è stata definita “eroe europeo” dalla rivista Time USA e nel 2005 è stata dichiarata cittadina onoraria di Sarajevo, capitale della Bosnia-Erzegovina. Ha fondato l’organizzazione Humanitarian Law Center.
È una figura molto scomoda in Serbia, considerata persona non grata in vaste aree del Paese. L’accusa più pesante, quella di avere venduto le proprie risorse intellettuali e morali ai fascisti croati, gli ustascia (termine usato per offendere tutti i croati), le è stata rivolta da Vojslav Seseli, imputato di crimini contro l’umanità dal Tribunale Penale Internazionale dell’Aja. Vive sotto costante minaccia della vita da parte degli estremisti delle varie fazioni etniche. È stata picchiata in Piazza della Repubblica a Belgrado senza che i passanti intervenissero. A un convegno all’università ha rischiato il linciaggio. Ha causato molte animosità anche quando ha presenziato alla dichiarazione d’indipendenza del Kosovo. A proposito di chi l’attacca, ha dichiarato in un’intervista al Corriere della Sera: “Mi chiamano sempre traditrice, anche se io documento tutto: i crimini sui croati e sui musulmani, sugli albanesi e sui Rom, sui serbi del Kosovo e su quelli di Croazia... Possono ammazzare me, non possono distruggere le mie prove".
Giardini che onorano Natasha Kandic
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