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Aida Rostami (1986 - 2022)

la dottoressa iraniana torturata e uccisa dal regime per aver curato i manifestanti

Anche tener fede al giuramento di Ippocrate può essere considerato un reato in Iran, dal totalitarismo teocratico più feroce del mondo. Un reato punibile con la tortura e la pena capitale. In un giorno di dicembre del 2022 la polizia di Teheran restituì il corpo senza vita di Aida Rostami alla sua famiglia. “È morta in un incidente stradale, cadendo da un ponte, forse a gettarla di sotto è stato un uomo con il quale aveva avuto una relazione”, sostennero le autorità. Ma la spiegazione fornita dalla polizia contrastava apertamente con i riscontri del medico dell’obitorio e soprattutto con quello che mostravano i poveri resti della donna. Il referto medico affermava che a causarne la morte era stato “l’impatto con un oggetto pesante”, mentre le gravissime ferite incise sul suo corpo martoriato erano una testimonianza inequivocabile della tortura che aveva subito. Nessuna menzogna ufficiale sarebbe riuscita a celare la tragica verità.

Aida Rostami, medico di 36 anni, era stata rapita, torturata e uccisa barbaramente dalle forze di sicurezza perché aveva osato curare i manifestanti scesi in piazza contro il regime. Perché, secondo la logica distorta e criminale degli agenti di polizia, prestando soccorso e assistenza ai feriti si era schierata dalla loro parte. Le sue dita che esercitavano la pietà e la misericordia erano state fratturate. Uno dei suoi occhi, con i quali sapeva riconoscere i bisognosi di cure, era cucito da numerosi punti di sutura. Metà del suo viso solare e carico di vita era stato distrutto, cancellato. Proprio in quei mesi nel Paese stavano dilagando le proteste seguite all’assassinio di Mahsa Amini da parte della polizia morale, appena tre mesi prima. L’Iran, scosso dalle manifestazioni anti-governative, era stato travolto da una brutale ondata di arresti, uccisioni e condanne a morte. Le forze di sicurezza, oltre a reprimere le proteste nel sangue, stavano ostacolando le operazioni di soccorso, requisendo le ambulanze, sorvegliando le farmacie. Gli agenti si schieravano all’interno degli ospedali per identificare e arrestare i manifestanti e facevano pressioni sul personale medico per ottenere informazioni sulle persone ricoverate. Gli attivisti feriti si erano visti costretti, fin da subito, a evitare di farsi curare negli ospedali per paura di essere individuati, arrestati e perseguiti. In alcuni casi dovevano persino far ricorso ai veterinari, pur di non rischiare di essere scoperti.

Per fortuna, però, c’erano ancora tanti medici coraggiosi disposti a sfidare i pericoli per aiutare i feriti curandoli nei loro studi privati, nelle case e in luoghi più sicuri degli ospedali. Aida Rostami era una di loro. Da tempo aveva iniziato a prestare soccorso e assistenza segretamente ai feriti delle manifestazioni di piazza a Ekbatan e in altri quartieri della capitale. Per lei la professione medica era da sempre quasi una missione. Quando era ancora una ragazzina aveva perso suo padre a causa di un tumore: da allora aveva deciso di studiare medicina e di diventare un medico per alleviare le sofferenze della gente. Negli anni terribili della pandemia, come tanti suoi colleghi, si era ritrovata in prima linea per salvare le vite degli iraniani. Anche adesso, che c’era un’altra crisi da affrontare, altre ferite da curare, non si era tirata indietro. La sera del 12 dicembre, secondo la ricostruzione del sito indipendente IranWire, aveva lasciato la casa di un manifestante ferito per andare a rifornirsi di medicinali e di dispositivi medici ma si era imbattuta in una pattuglia della polizia morale ed era stata arrestata. 

Nel tardo pomeriggio di quel giorno aveva parlato al telefono con sua madre. Niente faceva presagire quello che stava per accadere. Invece la tenevano d’occhio da tempo e avevano deciso di fargliela pagare. Erano seguite ore di ansia e di terrore, prima della notizia della sua morte. I giorni seguenti avrebbero aggiunto ulteriore strazio alla vicenda. Mentre i suoi familiari subivano forti pressioni da parte delle autorità ed erano costretti a rilasciare un’intervista alla tv di Stato per negare ogni sospetto nei confronti della polizia, un cospicuo gruppo di medici e operatori sanitari di Teheran indicevano uno sciopero di tre giorni in segno di protesta per il brutale assassinio della loro collega. Il coro di indignazione era però destinato a spegnersi presto, di fronte alla continuità dell’orrore e alla sistematicità della repressione che ogni giorno creava nuove vittime. Gli organi di stampa del regime, prima di dimenticarsi di lei, ribadirono la tesi del tutto inverosimile dell’incidente stradale e iniziarono a far circolare anche un’altra ipotesi: quella del suicidio. Ma entrambi gli scenari venivano smentiti categoricamente da tutte le fonti mediche, oltre che dalle contraddittorie ricostruzioni fornite dalle autorità.

La tragica fine di Aida Rostami confermava che la violenza del regime non colpiva più soltanto i manifestanti. Sebbene il diritto internazionale imponga la protezione del personale medico nell’esercizio delle proprie funzioni professionali, dall’inizio della crisi, nel settembre 2022, il Center for Human Rights in Iran (CHRI) ha già documentato decine di casi di medici, operatori sanitari, farmacisti e persino studenti di medicina interrogati, minacciati e arrestati per aver prestato assistenza e aiuto ai manifestanti.

Alcuni giorni prima del brutale assassinio di Aida Rostami altri due medici, Yasser Rahmani-Rad e Behnam Owhadi, e un tecnico di sala operatoria, Homayoun Eftekharnia, erano stati arrestati dalle forze di sicurezza mentre erano in viaggio verso le province dell’Iran occidentale per soccorrere i manifestanti feriti. Si erano visti confiscare dagli agenti i loro attrezzi di lavoro, le scorte di antidolorifici, di medicinali e sieri che portavano con sé, ed erano finiti dietro le sbarre. Ma rispetto ad Aida, i tre uomini sarebbero stati più fortunati. Il 19 gennaio di quest’anno sono stati rilasciati su cauzione dopo quarantasei giorni di prigionia, trentasei dei quali trascorsi in isolamento. È stato il giudice che si sono trovati di fronte in tribunale a chiarire la logica distorta e assassina che c’è dietro l’arresto dei medici. Dovevano essere puniti – ha detto il magistrato - perché chi si oppone alla Repubblica islamica merita di morire, non di essere curato.

Riccardo Michelucci, giornalista

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