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Aminetou Mint al-Moctar, una voce scomoda in Mauritania

colpita da fatwa perché ha difeso un blogger accusato di apostasia

Quella di Aminetou Mint al-Moctar è una storia di coraggio e di coerenza che non inizia solo nel 2015 - con la battaglia per far liberare il giovane blogger Cheikh Ould Mohamed Ould Mkhaïtir, condannato a morte per apostasia, conclusasi con successo nell'ottobre 2017 (provocando le ire degli imam più estremisti). Aminetou - che oggi ha 60 anni - combatte praticamente da quando è nata. Anche se discende da una famiglia del gruppo privilegiato e maggioritario della Mauritania, i maure - imparentata con i leader islamici del Paese - non accetta le imposizioni al suo essere donna.

Un buon matrimonio e studi adatti a una ragazza del suo ceto avrebbero potuto portarla a ricoprire un posto di responsabilità, ma per lei sarebbe stata solo la concessione di un ruolo subalterno, che i potenti della Mauritania considerano accettabile accordare alle donne. 

Per questo Aminetou ha da sempre scelto la lotta femminista, quella per difendere le popolazioni nere del Paese - colpite da discriminazioni e violenze particolarmente dopo il conflitto con il Senegal del 1989-1991 - e quella contro il terrorismo che insanguina il Sahel da 25 anni.

La sua coerenza le è costata più volte la perdita di tutto quello che aveva e il divorzio per ben due volte da uomini che non sopportavano il suo attivismo. Le è costata anche la tortura, da adolescente, quando catturata dalla polizia viene picchiata e seviziata perché si batte per la libertà degli schiavi legati alla propria famiglia.

In Mauritania, dove i neri vittime della repressione e della schiavitù - un fenomeno che non è ancora stato sconfitto - sono considerati solo un "passivo umanitario", Aminetou fonda il primo comitato di solidarietà con queste vittime. Recentemente l'attivista ha scatenato l'ira di molti fondamentalisti islamici (a ottobre 2017 hanno emesso una taglia per chi la uccida o le cavi gli occhi). A novembre la Mauritania ha deciso di inasprire le leggi contro l'apostasia e la blasfemia, che ora prevedono la pena di morte, senza tenere in conto alcuno la possibilità di ravvedimento. Aminetou anche in questo caso è in prima linea, stavolta denunciando i problemi della formazione dei giudici: "la maggior parte di loro è educato nelle madrasse", spiega l'attivista, "ed è figlia di influenti musulmani locali". "Hanno una visione tradizionalista e conservatrice della società": esattamente quella contro cui Aminetou si è sempre battuta, a rischio della vita.

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