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Assassinare i blogger è reato

ma i fondamentalisti bengalesi non lo sanno

Ananya Azad è figlio di un uomo che ha sfidato i fondamentalisti del Bangladesh nel 2003, componendo una critica all'estremismo intitolata Sia benedetta la terra sacra, un verso dell'inno del Paese. Suo padre Humayan ha quindi conosciuto la crudeltà umana, perché gli integralisti lo hanno attaccato a colpi di machete. 

Ora, dopo che tre di questi attacchi contro blogger atei sono sfociati in tragedia, tocca ad Ananya rischiare la vita per difendere lo Stato laico. Nel 2013, infatti, gli islamisti radicali hanno sottoposto al governo del Bangladesh una lista di 84 critici che per loro meritano una punizione in quanto avrebbero offeso l'Islam o Maometto. E l'esecutivo, quando i fondamentalisti passano ai fatti uccidendo i blogger, spesso chiude un occhio e lascia fare. 

"Mi hanno detto che devo smettere di scrivere", ha dichiarato Ananya, dimessosi da un importante giornale dopo l'assassinio a colpi di machete del blogger Washiqur Rahman, il secondo nella lista degli islamisti. La settimana scorsa, un messaggio su Facebook gli ha anche reso noto che la prossima vittima sarà lui. 

"Alcuni hanno messo in discussione la pericolosità di questa lista, ma le persone che vi sono incluse stanno morendo a una a una", ha riferito al Guardian Shubhajit Bhowmik, uno scrittore di affari politici e sociali che figura nell'elenco. 

Nonostante il Bangladesh sia ufficialmente uno Stato laico, il 90% della popolazione è musulmana e il gruppo Hefazat-e-Islam, fautore della linea dura fondamentalista, ha organizzato proteste di piazza conclusesi spesso con vere e proprie stragi. 

La prima vittima degli attentati contro i blogger è stato Avijit Roy, fondatore di Mukto Mona, un portale che ha per scopo "la promozione della scienza, del razionalismo, della laicità, del libero pensiero, dei diritti umani, della tolleranza religiosa e dell'armonia".   

28 maggio 2015

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