Per giustificare il suo omicidio, l’allora leader degli ulema della moschea integralista Al-Ahzar del Cairo, se ne uscì con una frase che spiega come, a volte, bastino le parole per essere ammazzati: «A uccidere Farag Fōda è stato Farag Fōda stesso».
Giornalista, scrittore e attivista, accusato di miscredenza e di apostasia a causa delle sue feroci critiche alla pervasività dell’Islam nella società moderna. É stato uno degli intellettuali più importanti dell’Egitto moderno, una delle tante vittime dell’integralismo islamico. Stretto collaboratore e amico dello scrittore premio Nobel Nagib Mahfouz, che considerava suo mentore, ne ha condiviso anzitempo il destino, ma con esito più infausto. A differenza dello scrittore, che il 14 ottobre 1994 - giorno del sesto anniversario dal conseguimento del premio Nobel - sopravvisse a due coltellate alla gola infertegli da un integralista musulmano, Farag Fōda non riuscì, due anni prima, a scampare ai colpi di pistola ricevuti mentre era ancora alla scrivania del suo ufficio al Cairo.
Eppure, sembrava essere ben altro il destino di questo intellettuale, nei confronti del quale le ira dei fondamentalisti non sembrano essersi placate nemmeno dopo decenni. Nato a Zagazig, una delle città del Delta del Nilo orientale, zona rigogliosa e fiorente di coltivazioni, si diplomò nella sua città come perito agrario, trasferendosi poi al Cairo, dove si laureò in Scienze dell’agricoltura all’Università “Ayn Shams”. Erano gli anni della presa del potere di Anwar al-Sadat e delle sue forti spinte riformatrici, alle quali si contrapponeva un irrigidimento degli ulema e delle istituzioni religiose, che si sentivano in pericolo di fronte alla modernizzazione del Paese. Farag Fōda, in quel fermento culturale, si scoprì giornalista e polemista.
La sua penna era velenosa, la sua arma preferita la satira. Arrivò anche ad accusare il popolare predicatore Abd al-Hamid Kishk - che nei suoi sermoni era solito ricordare il radioso paradiso dei musulmani affollato di settantadue giovanissime vergini a testa - di promettere "un’eternità di beata pedarestia". In un articolo pubblicato alla fine degli anni Ottanta su una rivista egiziana, si lamentò dell’arretratezza culturale delle istituzioni religiose: "Il mondo intorno a noi è impegnato con la conquista dello spazio, l’ingegneria genetica e le meraviglie del computer, mentre gli studiosi musulmani si occupano di sesso in paradiso". Quando poi gli ulema espressero tutto il loro sdegno per la messa in onda alla tv di stato del balletto del Lago dei Cigni di Pëtr Il'ič Čajkovskij, con le ballerine in tutù e i ballerini in calzamaglia, Farag Fōda arrivò a scrivere: "Il problema è tutto dello spettatore, del mushahid, e non dello spettacolo, del mushahad". Parole di modernità, che non perdono forza nemmeno dopo quarant’anni. Lasso di tempo assai importante per l'Islam, segnato, tra le altre cose, dalla Primavera araba, dalle più recenti proteste in Arabia Saudita - con la rivendicazione delle donne a guidare - e dalla situazione iraniana, con il movimento che contesta alla Polizia Morale il controllo sul corretto modo di indossare l’hijab.
Tuttavia, fu con gli scritti politici sulla necessità di considerare l’Islam solo come una religione e di tenere separate le istituzioni dello Stato con quelle della religione, che Farag Fōda venne messo nel mirino degli integralisti. A onor del vero le sue parole, per quanto nette e impossibili da fraintendere, non furono affatto tese al rifiuto dell’Islam in quanto religione, com'è possibile evincere dal seguente passo: "Chi mai ha detto che stiamo obiettando all’Islam? L’Islam è nel cuore e nella ragione insieme. Noi qui stiamo solo protestando contro la loro pretesa di poter governare per mezzo dell’Islam e questo è ben diverso; perché l’Islam, a nostro avviso, è religione e non è Stato (…) abbiamo ricevuto questi valori da altri e non abbiamo pagato nessun prezzo per essi. Ogni cosa ha il suo prezzo. La democrazia, la laicità, la civiltà, i diritti umani: tutto ha un prezzo. Il mondo civilizzato ha pagato un prezzo per tutte queste cose. Per arrivare dove si trova ora ha dovuto attraversare mari di sangue e camminare sopra i cadaveri di migliaia di vittime. Per questo si tiene ben strette queste conquiste e non le molla, sapendo bene la fatica e la serietà, il sudore e il sangue che hanno richiesto. Noi invece abbiamo ricevuto tutte queste cose senza sforzo, ce le hanno trasmesse i pionieri delle riforme. Difenderle ci risulta difficile e non ci importa granché di perderle parzialmente o totalmente. Sono assolutamente certo che pagheremo il prezzo tra poco, a meno che ogni coscienza libera non si risvegli e ogni patriota desideroso di veder progredire il proprio Paese gridi con quanta voce ha in gola: “No! No allo Stato religioso! No al rifiuto della laicità! No al confondere le carte tra politica e religione!”».
Il suo fu uno sguardo proiettato nel tempo, premonitore - secondo molti esperti - dell'ascesa dell'ISIS avvenuta venticinque anni più tardi. Dal suo ufficio nel cuore del Cairo, dalle lunghe discussioni con lo scrittore Nagib Mahfouz, dalla semplice osservazione di
quanto avveniva in strada, Farag Foda intravide con largo anticipo lo strapotere delle istituzioni religiose, non contrastate dalla politica e dallo Stato. Le sue parole, lette decenni dopo, anticipano quanto avvenuto poi in seguito: "La cosa peggiore che sta accadendo nel lottare contro questa corrente è che lo Stato, pur essendo laico, si comporta come se fosse uno Stato religioso, per paura, calcolo o incapacità. Finge di non vedere le irruzioni che una minoranza compie nei luoghi di divertimento pubblici con il pretesto di trasformarli in moschee, per paura di essere attaccato sulla fede o sul dogma; chiude un occhio di fronte alle armi, bianche e non, per paura che alcuni dicano che è in guerra con gli “islamisti”; e difende le sue opinioni servendosi degli uomini di religione 'ufficiali', giustificandosi con gli isnâd della giurisprudenza islamica e non con i testi della Costituzione, con la Legge autentica o il chiaro Interesse generale".
E ancora, se non bastasse: "Nello Stato laico le cose si accettano o si rifiutano a partire dalla difesa dell’interesse generale e dal modo in cui lo si comprende, e secondo un unico criterio vincolante che è la Costituzione e la Legge. E se Costituzione e Legge presentano delle mancanze, a te tocca correggerle emendandole. Ma se le trascuri e difendi le tue decisioni basandoti su quella che pensi sia la religione autentica e il retto sforzo interpretativo, ebbene così facendo tu consegni agli altri un’arma con cui ti pugnaleranno perché hai preso in prestito da loro la loro arma e gli hai dato modo di giustificare quanto fanno e riprovare quello che tu fai rendendo lecito il tuo sangue, perché tu non riuscirai a reggere a lungo il loro estremismo e non ce la farai a resistere alla loro chiusura mentale e allora subito ti si rivolteranno contro".
Gli anni stavano cambiando velocemente e in peggio. Farag Fōda non se ne avvide, o meglio, l’esternazione del suo pensiero fu più impellente di qualsiasi pericolo. Il presidente Anwar al-Sadat viene ammazzato nel 1981 da alcuni militari integralisti. Le istituzioni religiose, come lo stesso Farag Fōda aveva previsto, si fecero sempre più forti. Gli ulama della moschea Al-Azhar lo accusarono di blasfemia e di essere un nemico dell’Islam. Jadd al-Haqq, l’imam della moschea, emise nel maggio 1992 una fatwa nei confronti dell’intellettuale, accusandolo di apostasia.
L’8 giugno 1992, dieci giorni dopo, mentre era alla sua scrivania, due fondamentalisti appartenenti al gruppo al-Jamā al-Islāmiyya entrarono nel suo ufficio e aprirono il fuoco. Farag Fōda morì sul colpo. Suo figlio e un’altra persona vennero feriti in modo grave, mentre i due attentatori vennero arrestati diversi mesi dopo. Uno degli assassini, Abd al-Shāfii Ahmad Ramadan, il 30 dicembre 1993 venne condannato a morte, con la sentenza che venne eseguita il 26 febbraio 1994. Anche l’altro assassino fu in seguito condannato a morte.
I due integralisti dichiararono, durante il processo, di non aver mai letto nemmeno un articolo di Farag Fōda e di non sapere chi fosse. Anni dopo l’omicidio, uno dei più autorevoli ulema dell’Università al-Azhar, Muhammad al Ghāzalī, autore di oltre novanta testi religiosi, scrisse: "L’uccisione di Farag Fōda fu nei fatti la realizzazione della punizione contro un apostata che l’imam aveva mancato di intraprendere".
Fabio Poletti, giornalista, NuoveRadici.world