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Homa Darabi (1940 - 1994)

Simbolo dell'emancipazione femminile contro gli ayatollah, si diede fuoco come protesta estrema

Piangeva mentre bruciava avvolta dalle fiamme, Homa Darabi, la mattina del 21 febbraio 1994 in piazza Tajrish, in uno dei quartieri a nord della capitale iraniana. Piangeva e gridava, non solo di dolore, soprattutto di rabbia. Le sue ultime parole, mentre si toglieva il velo, un ultimo gesto di sfida al regime degli ayatollah che l’aveva condannata alla morte civile togliendole tutto, soprattutto i diritti, anche se non finirono mai sui giornali iraniani passarono di bocca in bocca: «Lunga vita libertà. Donna vita libertà. Morte al tiranno. Lunga vita Iran». Una frase soprattutto, "Donna vita libertà", riecheggia ancora oggi a Teheran e nelle altre città iraniane dove dilaga la protesta contro gli ayatollah che impongono il velo alle donne e arrestano e uccidono chiunque si opponga alle leggi islamiche applicate in modo assai rigoroso. E non è forse un caso che la tomba di Homa Darabi, al cimitero Behesth-e Zahra di Teheran, sia uno dei luoghi proibiti della capitale, guardato a vista dalla Polizia Morale di Ali Khamenei che aspetta solo un pretesto per intervenire con una durezza che sconfina nella ferocia.

Di questa donna che è stata uno dei simboli delle proteste iraniane contro l’integralismo, per anni è stato fatto di tutto per nasconderne le tracce. Quasi che da morta fosse ancora più pericolosa che da viva. La sua è una storia di straordinaria eccellenza, di amore per il suo Paese e di dedizione alla battaglia per i diritti civili. Figlia di una famiglia della middle class iraniana, nel 1960 Homa Darabi si iscrive alla Facoltà di Medicina dell’Università di Teheran. Quasi da subito inizia la militanza politica con il Jebha-ye Mellī-e Īrān, il Fronte Nazionale schierato contro il regime dello Scià Mohammad Reza Pahlavi. Insieme a Parvaneh Forohuar - venne assassinata nel 1998 durante una lunga catena di omicidi contro i dissidenti del regime islamico, le commemorazioni della sua morte sono vietate ancora oggi - Homa Darabi fonda il comitato femminile del partito, che rivendica parità per tutte le donne e maggiori poteri nel Paese. Inizia ad esercitare nel villaggio di Bahmanieh, nel Nord del Paese. Nel 1963 sposa il suo compagno di classe Manoocher Keyhani con il quale avrà due figlie che oggi vivono negli Stati Uniti.

Qualche anno dopo la laurea, agli inizi degli Anni Settanta, Homa Darabi si trasferisce negli Stati Uniti dove si specializza in Psichiatria e Neurologia Infantile, ottenendo l’abilitazione in New Jersey, New York e in California. La sua carriera sembra destinata a proseguire in Nord America. Diventa la prima iraniana ammessa nel board dell’Associazione statunitense di Psichiatria e Neurologia.
Ma nel 1976, quando il regime dello Scià sembra agli sgoccioli, destinato a finire da lì a meno di tre anni, Homa Darabi decide di tornare nel suo Paese. I tre anni successivi saranno quelli più ricchi di esperienze professionali. Le viene assegnata la prima cattedra in Iran di Psichiatria Infantile all’università di Teheran, successivamente insegna alla Shahid Beheshti University sempre nella capitale. Apre prima uno studio poi una clinica dove esercita assistendo giovanissimi pazienti con disturbi psichici.
La caduta dello Scià, la rivoluzione islamica dell’11 febbraio 1979, il ritorno dell’ayatollah Khomeini dall’esilio parigino, rappresentano l’inizio del periodo peggiore di Homa Darabi, che si concluderà con il suicidio in piazza Tajrish. Il nuovo regime applica la legge islamica, il ruolo delle donne nella vita pubblica viene ridimensionato, a tutte le persone di sesso femminile dall’età di sette anni viene imposto di indossare il velo, lo hijab a coprire i capelli che altrimenti darebbero scandalo e sono da considerare invece simbolo di peccato, proprietà unica del marito, genitore, fratello, uomo di turno.

Homa Darabi inizia da sola una lunga protesta, dopo le denunce di alcuni pazienti e le minacce della Polizia Morale perché non portava il velo sui capelli insieme al camice bianco. Si rivolge alla Polizia Morale, al Tribunale della città, arriva fino al consiglio degli ayatollah per rivendicare un diritto per cui si batteva sin dagli Anni Sessanta. La sua battaglia si fa sempre più accesa, difficile tenerla nascosta. Nel libro scritto da sua sorella Parvin Darabi insieme a Romin P. Thomson, Rage Against the Veil (1999 Prometheus Books, New York), si racconta dello stato d’animo della donna: «La dottoressa Darabi era sconvolta dalla legge dello hijab - il codice islamico di abbigliamento per le donne - che era stato fatto risorgere con Khomeini. Ma c’erano altre regole oltre alla legge dell’obbligo a indossare lo hijab. Nei processi la testimonianza di un uomo valeva quella di due donne. Una donna non poteva viaggiare, lavorare o andare all’Università senza il permesso del marito. Un uomo poteva divorziare dalla moglie anche senza dirglielo. L’Iran non fece nulla per apprezzare le qualità di Homa Darabi».

Le ripercussioni alle sue proteste si fecero ogni giorno più forti. La clinica venne chiusa dalla Polizia Morale. Tutti i suoi pazienti vennero allontanati. Alla fine le venne tolto pure il diritto ad esercitare la professione. Più la Polizia Morale si accaniva più lei alzava la voce. Insegnare all’Università divenne pressoché impossibile, le fu ostacolato in ogni modo. Aule chiuse, lezioni cancellate d’ufficio, furono per anni la sua quotidianità. Nel dicembre 1991 le venne alla fine revocata la cattedra con una sola motivazione: «Non aderenza alla legge sullo hijab». E fa niente se nel maggio 1993, dopo una serie infinita di ricorsi, il Tribunale Morale di Teheran le diede ragione, costringendo l’università a riassegnarle formalmente la cattedra, anche se non le venne mai concesso davvero di tornare ad insegnare. Sfinita dalle battaglie, Homa Darabi matura nel tempo di adottare un’ultima definitiva protesta. Per gridare il suo rifiuto al mondo sceglie piazza Tajrish, il cuore di Teheran. Forse nemmeno la data è casuale. Il 21 gennaio 1994 la Polizia Morale ammazza per strada a colpi di pistola una ragazzina sedicenne colpevole di aver messo un po’ di rossetto sulle labbra. Il 21 febbraio Homa Darabi arriva in piazza con una tanica di benzina. Se la rovescia addosso e come ultimo gesto di sfida al regime degli ayatollah, si toglie lo hijab prima di darsi fuoco. Morirà in ospedale il giorno dopo. Le sue grida di quel giorno, «Zan, Zendegi, Azadi», «Donna, vita, libertà», non smettono di risuonare ancora oggi in Iran. 

Fabio Poletti, giornalista, NuoveRadici.world

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