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Mahmoud Mohamed Taha (1909 - 1985)

il "Ghandi del Sudan" che si oppose al fondamentalismo dei Fratelli Musulmani

Per capire la cifra idealista e mistica del Ghandi sudanese, considerato il più grande riformatore contemporaneo dell'islam, si deve partire dal suo saggio teologico Il secondo messaggio dell’islam, in cui Taha prova a far conciliare la rivelazione del Corano con la democrazia ateniese e il socialismo. Un’analisi teologica raffinata e complessa in cui il fondatore del partito Repubblicano - poi trasformato in una comunità religiosa di fratelli e sorelle repubblicane che si opponevano pacificamente all’integralismo dei Fratelli Musulmani - spiega come alla fine di un lungo processo di evoluzione ci sarebbe stato l’avvento di un Islam democratico e socialista, che avrebbe portato l’armonia fra l’esigenza della libertà individuale e i bisogni di equità sociale della comunità.

I suoi detrattori - in primis i Fratelli Musulmani di Hassan al-Turabi che guidarono il processo di islamizzazione nel Sudan postcoloniale - lo definivano un pazzo che riteneva di essere l’incarnazione di Gesù Cristo perché credeva nella nuova venuta di un Islam evoluto e democratico, che avrebbe conciliato la sharia con i principi della prima rivelazione del Corano avvenuta alla Mecca. Per i suoi seguaci, i riformatori e gli ecumenici di ogni genere e sorta che ancora oggi lo considerano un martire, era un uomo retto che non ha avuto timore di sacrificare la propria esistenza per affermare una fede che si evolve attraverso un progresso spirituale e porta a una società giusta. Un messaggio che venne considerato eretico e portò alla sua impiccagione il 18 gennaio del 1985, dopo un processo sommario che durò due ore nel Sudan del generale Jaʿfar Muḥammad al-Nimeyrī, che prese il potere con un colpo di stato nel 1969 e instaurò un duro regime nel paese. 

La sua pacifica visione di un islam ‘illuminato’ è ancora molto attuale ed è considerata un punto di riferimento per tutti i riformatori che hanno provato, invano, a contestualizzare il Corano nel mondo contemporaneo. A rileggere oggi la sua storia di teologo - i suoi discepoli lo chiamavano Al-Ustadh, maestro riverito - la sua vita appare profetica, visto che Taha tentò di impedire il processo di islamizzazione che portò a una lunghissima guerra civile con due milioni di morti e a una storia politica costellata da una serie di colpi di stato militari, culminati nell'ultimo putsch del 15 aprile del 2023. 

Nato in un villaggio sonnolento sulla riva orientale del Nilo Azzurro nel Sudan centrale, Taha si laureò in ingegneria. Nel 1945 fu fra i fondatori del Partito repubblicano, che cercò di promuovere un messaggio religioso che ambiva a modernizzare l’islam attraverso lo studio dei versi meccani del Corano, precedenti all’Egira di Maometto a Medina e alla guerra santa contro gli infedeli.

Per capire il suo carisma intellettuale e il suo messaggio di urgente attualità bisogna partire dalla fine del suo saggio, in cui Taha afferma come si sarebbe potuti arrivare ad una società giusta. Prodigandosi, cioè, per la costituzione di uno stato superiore dell’Islam che avrebbe liberato tutti i credenti dai vincoli della sharia contro cui si era battuto prima di essere giustiziato per difendere l’unità del Sudan, il rispetto di tutti i cittadini sudanesi non musulmani e impedire la guerra civile in un Paese diviso già allora fra un Nord islamico e un Sud animista e cristiano.

Attraverso lo studio della rivelazione musulmana a Maometto, Al-Ustadh Mohamed Taha dimostrò come nella prima fase, alla Mecca, la predicazione di Maometto fu un appello all’uguaglianza e alla libertà individuale esercitata con responsabilità attraverso la persuasione mentre nella seconda fase, a Medina, i principi fondamentali dovettero essere riadattati alle esigenze storiche e sociali, oscurando e sostituendo il messaggio originale per permettere il radicamento dell’Islam. La guerra santa, la diseguaglianza, la schiavitù, la separazione di uomini dalle donne e altri precetti della sharia erano per lui regole transitorie del VII secolo, diventate anacronistiche nel secolo breve in cui lui visse e lottò pacificamente fino al giorno della sua morte.

Il secondo messaggio dell’islam, pubblicato per la prima volta nel 1967, rappresenta una visione salvifica che avrebbe portato i credenti alla democrazia, all’uguaglianza e al socialismo perché la nazione dei musulmani deve ancora venire: «La gente del Corano deve preparare la strada a una civiltà avanzata che elimini ogni discriminazione, protegga i deboli, rispetti la loro dignità, assicuri libertà e onore alle donne» predicò fino al giorno della sua impiccagione. La sua filosofia mistica e pacifica - che lo aveva portato a creare una comunità di fratelli e sorelle repubblicane - venne tollerata finché non si oppose con fermezza all’introduzione della sharia, adottata nel 1983 dal governo militare del generale Jaʿfar Muḥammad al-Nimeyrī.

Taha nacque all'inizio del ventesimo secolo, fra il 1909 e il 1911. Assorbì le idee politiche e sociali moderne leggendo le opere di Marx, Lenin, Russell, Shaw e Wells. Nel 1945 fondò un gruppo politico antimonarchico, il Partito repubblicano, e fu incarcerato due volte dalle autorità britanniche. La sua seconda reclusione durò due anni e quando fu rilasciato, nel 1948, iniziò un periodo di isolamento, preghiera e digiuno in un piccolo edificio di fango nel cortile accanto alla casa dei suoceri. Durante questo periodo, durato tre anni, Taha sviluppò la sua visione del “secondo messaggio” del Corano.

Successivamente, dal 1951, ha dedicato il resto della sua vita all'insegnamento. Animato dalla preoccupazione della grave arretratezza economica e culturale del suo Paese, provocata da secoli di malgoverno ottomano, partecipò alla lotta nazionalista per l’indipendenza dal Regno Unito. All’interno del movimento indipendentista maturò delle posizioni sempre più critiche verso le élite musulmane che lo portarono a fondare il Partito repubblicano. Grazie al suo ideale ispirato alla tolleranza e alla convivenza pacifica, Al-Ustadh Taha auspicava il ritorno del messaggio profetico dell’islam e lottò per creare una Repubblica presidenziale, federale e democratica che escludesse qualsiasi applicazione di leggi derivate dalla sharia che riteneva un’alterazione del vero islam.

La sua comunità, di bianco vestita, aveva introdotto la parità fra donne e uomini che ogni venerdì, dopo che gli fu proibito di tenere conferenze pubbliche, divulgavano le proprie idee agli angoli delle strade, nei parchi e nelle università. Nelle immagini che lo ritraggono con la sua numerosa comunità di uomini e donne, lo si vede in piedi circondato da centinaia di persone a discutere di politica e di religione. Durante il suo ultimo arresto, avvenuto nel 1985, si presentò in tribunale, dove usò parole severe (ma espresse con una grande calma interiore) per spiegare le sue ragioni per opporsi alla sharia, nel nome del rispetto della libertà di tutti i sudanesi. Durante il processo, che portò il giudice ad accusarlo - dopo una controversia giuridica - di apostasia, i suoi discepoli lo seguirono nelle strade con una marcia pacifica e si sedettero per terra per mostrare la loro disobbedienza civile.

All’alba del 18 gennaio 1985 Al-Ustadh Taha venne impiccato per le sue opinioni con ordine del presidente Jaʿfar Muḥammad al-Nimeyrī, il quale cedette alle pressioni dei Fratelli Musulmani. Ossia di Hassan al-Turabi, l'architetto della svolta islamista sudanese. In seguito alla sua esecuzione, alcuni compagni del partito repubblicano, anche loro condannati, abiurarono alle proprie idee e vennero rilasciati, mentre 400 detenuti, uomini e donne della sua comunità, accettarono di smettere di propagare le loro idee. Il Ghandi sudanese, cresciuto nel Paese che poi ospitò Osama bin Laden, affermava: «Durante i primi tredici anni della rivelazione alla mecca Maometto fa un appello (dawa) e dopo la migrazione a Medina e l’abrogazione dei versetti sulla persuasione pacifica, prevalsero quelli della costrizione e della spada. Molte persone ricorsero alla taqiyya (dissimulazione) cioè avevano un’opinione ma ne esprimevano un’altra, introducendo nella comunità islamica l’ipocrisia».

Nel 1955, poco prima che il Sudan ottenesse l'indipendenza, Taha pubblicò un libro sulle sue proposte per una Costituzione di un Sudan indipendente: una Repubblica presidenziale, federale, democratica e socialista. Era contrario a qualsiasi tentativo o idea di applicare le leggi della sharia, che riteneva una distorsione del vero Islam. Applicare la sharia avrebbe rappresentato per lui un invito alla sfiducia e all'ostilità nei confronti dei cittadini sudanesi non musulmani. 

Inoltre Mahmoud Mohamed Taha è stato il primo pensatore musulmano a proporre un dialogo diretto per una pacifica convivenza tra gli arabi e lo Stato di Israele dopo la guerra di sei giorni del 1967. Taha ha continuato a diffondere le sue opinioni fino al 1973, quando il regime vietò le sue conferenze pubbliche. Per il resto della sua vita, fino al giorno della sua impiccagione, si è limitato a guidare le attività della sua comunità, la quale includeva un numero crescente di donne. Nel 1983 venne arrestato per un opuscolo pubblicato dai repubblicani contro il processo di islamizzazione che condusse il Governo a imporre la sharia.

I repubblicani furono rilasciati il ​​19 dicembre 1984, dopo 19 mesi di detenzione, ma il destino di Al-Ustadh Mahmoud era ormai segnato. Il 25 dicembre 1984 pubblicò un volantino in cui Taha chiese l'abrogazione delle nuove leggi e la garanzia delle libertà civili democratiche. «Noi repubblicani abbiamo dedicato le nostre vite a promuovere e a tutelare l’Islam e il Sudan», scrisse. «Chiediamo la revoca delle leggi che distorcono l’Islam, umiliano il popolo e mettono a repentaglio l’unità nazionale». Al-Ustadh Mahmoud Taha aveva intuito cosa sarebbe accaduto successivamente in Sudan: una lunga e cruenta guerra civile che da uomo di pace voleva impedire. Il suo appello si concludeva così: «Possa Allah essere benevolo e salvaguardare il Paese dalle rivolte, preservarne l’indipendenza e l’unità».

Il 5 gennaio venne arrestato per l’ultima volta e accusato di sedizione, violazione della Costituzione, incitamento all’opposizione al Governo e disturbo della quiete pubblica. In un video diffuso dai suoi seguaci lo si vede dire e ripetere in un’aula del tribunale «Queste leggi vengono usate per terrorizzare e umiliare il popolo. Rendono l’islam ripugnante. E mettono a repentaglio l’unità nazionale. I giudici che applicano queste leggi hanno violato i diritti dei cittadini, distorto il messaggio dell’islam, insultato gli intellettuali, umiliato gli oppositori. Per questi motivi non sono disposto a collaborare con alcun tribunale che ha tradito l’indipendenza della magistratura e calpestato il libero pensiero, permettendo di perseguire gli oppositori politici». Il processo durò due giorni.

Alla vigilia del 18 gennaio del 1985 le forze armate occuparono l’area intorno alla prigione centrale di Khartoum North, dove l'esecuzione avrebbe avuto luogo la mattina seguente. Tra le centinaia di spettatori presenti nel cortile della prigione di Kober, a nord di Khartoum, c'era Judith Miller, allora giornalista del Times. Miller ha descritto così la scena dell’esecuzione: «Le mani legate dietro la schiena, era più piccolo di quanto mi aspettassi e sembrava più giovane dei suoi settantasei anni. Teneva la testa alta e fissava in silenzio la folla. Quando lo videro, molti balzarono in piedi, deridendolo e agitando i pugni contro di lui. Alcuni sventolavano in aria il loro Corano. Riuscii a intravedere solo il viso di Taha prima che il boia gli mettesse un sacco color avena sulla testa e sul corpo e non dimenticherò mai il suo sguardo di sfida. Non ha mostrato alcun accenno di paura». Il Ghandi sudanese non è vissuto abbastanza per vedere il baratro in cui è finito il suo Paese. Per ogni musulmano che crede nei diritti umani universali, nella tolleranza, nell'uguaglianza, nella libertà e nella democrazia, il Corano presenta un problema apparentemente insolubile. Tanti riformisti hanno tentato di spiegare le sure più controverse, di contestualizzarle, minimizzarle o semplicemente ignorarle, citando spesso il famoso versetto «Non c'è costrizione nella religione».

Il movimento riformista di Taha è stato costantemente attaccato e denigrato dai Fratelli Musulmani, i quali fecero circolare l’ipotesi che i suoi seguaci lo considerassero un nuovo profeta o addirittura una divinità. Affermavano che Taha non avesse mai pregato, che fosse pazzo. La sua eredità divenne controversa anche tra i sudanesi di mentalità liberale per via del suo misticismo. Racconta un giornalista del New Yorker, George Packer, che nel 2006 fece un viaggio in Sudan sulle orme del Ghandi sudanese: «Ciò che è veramente straordinario di Taha è che sia esistito. Nel mezzo di una tempesta crescente di estremismo islamista, ha veicolato un messaggio di riforma liberale che era rigoroso, coerente e coraggioso».

Nel 2000 un reporter sudanese ha chiesto all’ex presidente Nimeyrī chiarimenti sulla morte di Taha. Nimeyrī ha espresso rammarico per l'omicidio e ha fatto un'affermazione sorprendente: «L'esecuzione di Taha era stata segretamente progettata da Hasan al-Turabi (il leader dei Fratelli Musulmani). Turabi mi ha portato il provvedimento per la sua esecuzione e mi ha chiesto di firmarlo. Ho deciso di rimandare la mia decisione di due giorni e il terzo giorno sono andato e gli ho detto: “La tua morte mi rattristerebbe, rivedi la tue posizioni” e lui mi rispose che sarebbe stato ammazzato in ogni caso dal Governo o dai Fratelli Musulmani». Taha era un pericoloso rivale per Hasan al-Turabi. Il suo movimento riformista rappresentava una sfida teologica per il severo islamismo di Turabi.

Nel 1989 Turabi è stato il primo stratega della rivoluzione islamista. Divenne l'architetto intellettuale del nuovo regime, guidato da Omar al-Bashir e guidò il regno del terrore negli anni Novanta. Fu lui ad attirare in Sudan quasi tutti i principali terroristi jihadisti. I giornalisti iniziarono a chiamarlo “il Khomeini dei sunniti” e “il Papa del terrorismo”. Verso la fine degli anni Novanta, Turabi si rese conto che la sua grande impresa era stata un fallimento. Il Sudan era stato sanzionato dalle Nazioni Unite per aver sponsorizzato un tentativo di omicidio nel 1995 del presidente egiziano Hosni Mubarak. Il Paese era isolato a livello internazionale; la guerra civile stava uccidendo milioni di persone e aveva prodotto una classe dirigente ricca e corrotta, mentre i giovani sudanesi, inclusi molti seguaci di Turabi, avevano lasciato il paese. Sulla parete dell'ufficio di un suo seguace andato in esilio negli Stati Uniti, il giurista Abdullahi Ahmed An-Na'im, che oggi insegna Legge alla Emory University di Atlanta, si trova un ritratto in bianco e nero di Taha in età avanzata. Seduto per terra, avvolto nella tunica bianca, lo sguardo astratto sembra voler cogliere qualcosa di intangibile. Il ritratto di uno dei Giusti dell'Islam moderno.

Cristina Giudici, giornalista

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