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Shaheen Khalaf (1988 - 2017)

l'interprete yazida che ha sacrificato la vita per salvare una bambina musulmana

Fumava una sigaretta dopo l’altra, amava bere molto e scherzare: una qualità, quest’ultima, che il giovane Shaheen, sopravvissuto al genocidio del suo popolo, la minoranza yazida, non aveva perso neanche nel bel mezzo degli episodi più sanguinosi della guerra in Iraq. Scriveva poesie che pubblicava sui social media, perché – come racconta chi l’ha conosciuto – non aveva perso la forza di sognare, nonostante l’orrore di cui era stato testimone. E, insieme, non aveva mai perso il coraggio di amare e spendersi per gli altri, fino al punto di rischiare la vita, diverse volte, in operazioni di salvataggio di civili che pochi, pochissimi, avrebbero avuto il coraggio di affrontare. In una di queste, dopo aver salvato una bimba musulmana circondata da cadaveri e sotto il tiro dei cecchini dell’ISIS, Shaheen viene ferito gravemente e, dopo due operazioni e dieci giorni di ricovero ospedaliero, muore in seguito a un’infezione il 14 maggio 2017. Un documentario, "Free Burma Rangers", diretto da Brent Gudgel e Chris Sinclair, racconta e testimonia la sua azione di salvataggio, avvenuta durante la battaglia di Mosul.

Dopo aver lavorato come interprete per l’esercito americano ed altre organizzazioni non governative, Shaheen aveva deciso di lavorare per David Eubank, fondatore e direttore texano dei Free Burma Rangers, organizzazione atipica e coraggiosissima specializzata nell’assistenza medica e il salvataggio di civili in zone di guerra. Tante le persone che gli devono la vita, poco importa se yazidi o musulmani – la capacità di amare di questo giovane troppo prematuramente scomparso non conosceva confini.

Nel 2015 inizia il suo lavoro per Yazda, l’ONG di cui è stata parte Nadia Murad prima di vincere il Nobel per la pace, fornendo cibo e assistenza agli yazidi del monte Sinjar, ancora stretti nella morsa dello Stato Islamico. Tanti i traumi e le ferite per lui che proveniva da quella terra martoriata, a cui ritorna per la prima volta dopo il genocidio; eppure, lavora instancabile nelle situazioni più estreme per dare un contributo alla sicurezza e alla pace della popolazione. In quei mesi, quando gli aiuti erano assai limitati e i profughi finivano spesso per prendersela con volontari come Shaheen, quest’ultimo lavora notte e giorno, diverse volte anche gratis, per diverse organizzazioni locali prive di mezzi e fondi. Ma la parte più difficile, per il lavoro di Shaheen, doveva ancora arrivare.

Infuria la battaglia per Mosul, ridotta a un cumulo di macerie, e per le aree occupate dall’ISIS nel Governatorato di Ninive. Quasi tutte le ONG, seguendo i loro protocolli, si rifiutano di intervenire: troppi i rischi di una battaglia che, fra cecchini, mine antiuomo e un fuoco incessante, aveva raggiunto una violenza inaudita. Migliaia gli sfollati, mentre i civili, sempre più di frequente, erano oggetto di attacchi deliberati da parte di Daesh.

Un altro aspetto non trascurabile, per uno yazida come lui: in questa situazione si trattava di rischiare tutto per soccorrere anche donne e uomini musulmani, come quelli che avevano sterminato, solo pochi mesi prima, il suo popolo a causa della loro fede religiosa. Shaheen – esortato dai suoi colleghi – non si sottrae alla sua missione, nonostante le esitazioni psicologiche dei primi mesi. Un evento però, raccontato dallo studioso e attivista Matthew Travis Barber, sembra confermare Shaheen nella sua scelta di coraggio. Il 28 gennaio 2017 l’esercito iracheno e i Free Burma Rangers ritrovano nei pressi di Mosul un bimbo yazida di sei anni, Ayman, che era stato adottato, e quindi salvato, da una coppia araba sunnita dopo esser stato rapito dallo Stato Islamico.

Triste e terribile il destino di moltissimi bambini yazidi, durante e dopo il genocidio: ridotti in schiavitù e utilizzati come soldati e kamikaze dopo aver proibito loro di parlare la loro lingua, il curdo, e anche solo di ricordare la loro religione e cultura. Diverso, per fortuna, il destino del piccolo Ayman, comprato dalla coppia dai miliziani dell’ISIS per salvarlo. La loro compassione tocca nel profondo Shaheen, che trova nuovo coraggio e vigore per sacrificarsi.

Pochi mesi dopo, il 4 maggio, Shaheen si lancerà in un’operazione di soccorso disperata per salvare, riuscendoci, una bambina colpita alla faccia, circondata da cadaveri e da pochi sopravvissuti, finiti sotto il fuoco dei cecchini dell’ISIS. Troppo rischiosa l’operazione, e troppo intelligente e formato Shaheen per non comprendere quello a cui andava incontro: un faccia a faccia con la morte, per salvare – lui yazida, perseguitato per secoli dall’Islam – una famiglia di musulmani e una bambina, cui ha regalato il futuro che lui, purtroppo, non ha più potuto conoscere.

Tanti i messaggi e le attestazioni di affetto che un ragazzo straordinario come Shaheen si è lasciato dietro. A lui è stato dedicato un parco giochi a Mosul, nel frattempo liberata, a pochi passi da dove aveva salvato la bambina.

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