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L'anniversario del giorno dopo

di Ulianova Radice, co-fondatrice di Gariwo

Ieri si sono svolte le celebrazioni del 21° anniversario della strage di Capaci. 
Due navi di Libera, “Giovanni” e “Paolo”, in ricordo di Falcone e Borsellino, hanno sbarcato a Palermo migliaia di ragazzi per partecipare alla cerimonia nell’aula bunker del maxiprocesso, simbolo della vittoria della strategia inaugurata da Falcone contro la mafia. 
Tutte le reti radiotelevisive hanno ricordato la strage con programmi di ogni tipo. Alla trasmissione di Michele Santoro e Marco Travaglio, Servizio Pubblico, si è parlato della trattativa Stato-mafia dopo Capaci e sono emerse le solite insinuazioni sui politici dell’epoca, compreso Napolitano, e sullo stesso Falcone, che accettò l’incarico propostogli da Claudio Martelli, allora ministro della Giustizia nel governo Andreotti, per costruire una struttura speciale di coordinamento delle inchieste contro le cosche. 
Il solito film, girato dai soliti registi-giornalisti, nel solito stile “Savonarola”. Un conto è chiedere la verità sui segreti di Stato, un altro conto è accomunare tutti nella stessa notte buia, dove – alla fine – “tutte le vacche sono nere“, con il risultato di azzerare le vere responsabilità personali e buttare il bambino insieme all’acqua sporca.
Ai noti e meno noti Savonarola di ritorno è dedicato l’anniversario del giorno dopo. 
Perché il 24 maggio 1992 ci fu un’altra bomba, che scoppiò al Tribunale di Milano durante l’assemblea in aula magna, stipata all’inverosimile, a cui anch’io ho partecipato. Tutte le attività erano bloccate, la tensione altissima, un’emozione senza precedenti. Fu lì che scoppiò la bomba. Dopo alcuni interventi di magistrati prese la parola Ilda Boccassini. Gridò “vergogna!” ai suoi colleghi. Tritolo puro. Li accusò di ipocrisia, di essere idealmente complici della mafia: l’assassinio di Falcone era anche opera loro. L’avevano isolato, calunniato, abbandonato al suo destino, con le insinuazioni, le malevolenze, gli ostruzionismi, i contrasti al suo operato che hanno lastricato il calvario dell’ideatore e protagonista assoluto della strategia vincente nella lotta alle cosche. Il vero baluardo contro Cosa Nostra veniva osteggiato in nome della “vera” lotta alla mafia. Un paradosso assoluto. L’assemblea saltò in aria. Subito dopo Ilda Boccassini si fece trasferire a Palermo per contribuire alle indagini sull’assassinio.
Il Presidente Napolitano ha definito Giovanni Falcone un eroe. I ragazzi intervistati mentre sbarcavano al porto di Palermo lo hanno definito un eroe. Falcone diceva che il vero coraggio consiste nel saper vincere la paura per continuare a fare il proprio dovere. Che questo è il primo imperativo di chi sceglie di servire lo Stato. Che non si può chiedere agli inermi cittadini di essere eroi. L’unica cosa che si può pretendere è che facciano il loro dovere, ma devono essere le istituzioni a garantire le condizioni perché possano farlo senza rischiare la vita. 
Il vero eroismo di Giovanni Falcone è stata la sua capacità di servire lo Stato nonostante istituzioni indegne del loro ruolo, di aderire al valore dello Stato come comunità di cittadini, garante della convivenza civile. Falcone ha avuto il coraggio eroico di continuare “a fare il proprio dovere”, di non mollare nonostante i continui “no” ai suoi tentativi di diventare il responsabile delle strutture giudiziarie in prima linea nel contrasto alle cosche, di alzare le spalle alle accuse infamanti, di carrierismo e di collusione con i politici legati alla mafia, di essersi “venduto” al potere per un posto al ministero. 
Ha resistito con la forza della sua dirittura morale. La forza dei Giusti.
Altro che Servizio Pubblico di Santoro e Travaglio. Un vecchio motto siciliano che sicuramente Falcone conosceva recita "Nun si spilla pa mea cravatta” (non sei spilla per la mia cravatta). Per favore, cambiate nome a questa trasmissione.

Ulianova Radice

Analisi di Ulianova Radice, già direttrice e cofondatrice di Gariwo

24 maggio 2013

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