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L'insidia alle mafie viene dalla ribellione delle coscienze

Don Ciotti e le minacce di Totò Riina

“Questo prete è una stampa e una figura che somiglia a padre Puglisi… Ciotti Ciotti, putissimu pure ammazzarlo”. Queste le parole intercettate dalla Dia di Palermo durante una conversazione in carcere tra Salvatore Riina e il boss pugliese Alberto Lorusso, avvenuta il 14 settembre 2013.

Il processo di beatificazione di don Puglisi, l’impegno di Libera sul territorio, la confisca e il riutilizzo dei beni mafiosi. A irritare Riina è il risveglio delle coscienze per cui don Luigi Ciotti si batte quotidianamente, la diffusione delle sue idee nelle strade, tra i giovani, che sfuggono così alle mani della criminalità organizzata. Come accadde nel 1993 con don Pino Puglisi, impegnato nella lotta alla mafia nel quartiere Brancaccio della città di Palermo. “Il quartiere lo voleva comandare iddu - dice Riina di don Puglisi - Ma tu fatti il parrino, pensa alle messe, lasciali stare... il territorio... il campo... la Chiesa... lo vedete cosa voleva fare? Tutte cose voleva fare iddu nel territorio... tutto voleva fare iddu, cose che non ci credete".

Don Pino non aveva rinunciato a denunciare la mafia nelle sue omelie, nonostante avesse ricevuto numerose minacce. Don Luigi Ciotti, insieme a Libera, si muove nel sentiero tracciato da padre Puglisi, mescolando attività pastorale e promozione civile. Essere antimafia, per don Ciotti, significa battersi per l’uguaglianza sociale, assumersi la responsabilità dell’altro, non voltare la testa dall’altra parte, rompere il silenzio, mettersi in gioco.

Proprio questo impegno ha portato alle minacce di Riina. Che don Luigi ha commentato così:

“Le minacce di Totò Riina dal carcere sono molto significative. Non sono infatti rivolte solo a Luigi Ciotti, ma a tutte le persone che in vent’anni di Libera si sono impegnate per la giustizia e la dignità del nostro Paese. Cittadini a tempo pieno, non a intermittenza.

Le mafie sanno fiutare il pericolo. Sentono che l’insidia, oltre che dalle forze di polizia e da gran parte della magistratura, viene dalla ribellione delle coscienze, dalle comunità che rialzano la testa e non accettano più il fatalismo, la sottomissione, il silenzio. Queste minacce sono la prova che questo impegno è incisivo, graffiante, gli toglie la terra da sotto i piedi.”

Nella sua lettera, don Ciotti parla anche di don Puglisi, ricordando che “un mafioso divenuto collaboratore di giustizia parlò di ‘sacerdoti che interferiscono’. Ecco - si legge nel testo, pubblicato sul sito di Libera - io mi riconosco in questa Chiesa che “interferisce”, che non smette di ritornare, perché è lì che si rinnova la speranza, al Vangelo, alla sua essenzialità spirituale e alla sua intransigenza etica”.

4 settembre 2014

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