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Lea Garofalo (Petilia Policastro, Italia, 1974 - Milano, Italia, 2009)

Testimone di giustizia, vittima di ‘ndrangheta, morta per la dignità e la legalità

Lea Garofalo nasce il 24 aprile 1974 a Petilia Policastro, un piccolo comune della provincia di Crotone, in Calabria. Quando ha solo nove mesi, Lea resta orfana dopo che il padre Antonio viene ucciso in una faida di mafia. Cresce con la madre Santina Miletta, la sorella Marisa e il fratello Floriano e la nonna, che le continua a ripetere che "il sangue si lava con il sangue". All’età di 14 anni Lea si fidanza con il diciassettenne Carlo Cosco, già addentro alle vicende dei clan calabresi, nonostante la giovane età. Mentre Lea è innamorata, come una qualsiasi adolescente, Carlo la corteggia essenzialmente in quanto “figlia” della ‘ndrina dei Garofalo. L’obiettivo è di acquisire potere e diventare pilastro del clan mafioso. Insieme, la coppia si trasferisce a Milano, dove Carlo amplia il giro di spaccio per conto della sua famiglia e del clan Garofalo. I due si stabiliscono in via Montello, zona Porta Volta, in uno stabile di proprietà dell'associazione Cà Granda. Proprio lì, nel dicembre 1991 nasce la loro figlia, Denise.

Nel maggio 1997 i Carabinieri arrestano il compagno di Lea e altri membri della famiglia Cosco nell’ambito dell’operazione definita “Storia infinita”. L’accusa è di traffico di droga. Spaventata dalla situazione, Lea decide di lasciare il compagno e glielo comunica durante un colloquio in carcere. La reazione dell’uomo è talmente violenta da attirare l’attenzione delle guardie che devono allontanarlo dalla donna. Carlo minaccia Lea di fargliela pagare e di rintracciarla, ovunque fosse andata. Comincia, così, un periodo in cui Lea e la figlia vivono nel terrore. Si trasferiscono a Bergamo, ma conducono una vita molto solitaria fin quando, nel 2002, qualcuno incendia la macchina di Lea. La donna sa bene che è un messaggio mafioso diretto a lei. Secondo alcuni, il mandante è la famiglia Cosco, oltraggiata dal tradimento di Lea, che ha lasciato Carlo. Secondo altri, il mandante è lo stesso fratello di Lea, Floriano, furioso per le scelte della sorella che lo hanno messo in cattiva luce tra le ‘ndrine calabresi. Dopo il rogo dell’auto, Lea torna a Petilia Policastro ma quando ancora una volta viene aggredita e riceve minacce, per cui decide di rivolgersi ai Carabinieri.

Ai militari Lea racconta ogni cosa: della faida a Petilia Policastro, dei traffici della sua famiglia e di quella del compagno, i Cosco. Le sue dichiarazioni vengono ritenute attendibili e gravi e infatti Lea e sua figlia Denise vengono inserite nel programma di protezione testimoni. La vita in esilio si rivela molto dura e solitaria. Lea e Denise devono convivere con una nuova identità, senza amici, senza aiuto. Lea ha un lavoro precario e fatica ad andare avanti. Nel giugno 2005 il fratello Floriano viene ucciso in un agguato di mafia e qualche mese dopo anche Carlo esce di prigione. Tramite amici cerca di conoscere il nuovo indirizzo di Lea che gli viene negato ma le cose cambiano nel settembre 2008. Per gli inquirenti, infatti, la morte di Floriano Garofalo è la vendetta che le ‘ndrine cercavano e, di conseguenza, ritengono che Lea e la figlia non siano più in pericolo. Madre e figlia, dunque, vengono escluse dal programma di protezione testimoni mentre, intanto, le indagini, non portano ad alcun processo.

Frustrata e sfiduciata, nel 2008 Lea partecipa a una manifestazione pubblica in cui incontra Don Ciotti, già presidente dell’associazione antimafia Libera. A lui racconta della sua situazione e del pantano in cui sono finite le indagini. Con l’ufficio legale di Libera, e in particolare con l’avvocata Enza Rando, il caso Garofalo viene riaperto e Lea e la figlia riescono a rientrare nel programma di protezione testimoni e si trasferiscono a Campobasso. Tuttavia, la vita di Lea e della figlia Denise, ormai diciassettenne, resta molto difficile. Ormai senza soldi e senza la speranza di ottenere giustizia, Lea decide di uscire dal programma di protezione testimoni.

Nonostante i consigli dei legali di non esporsi, Lea torna a Petilia Policastro, riallaccia rapporti con la sua famiglia d’origine e anche con l’ex compagno Carlo Cosco, convinta che, nel frattempo, la sua rabbia sia sopita. Carlo, intanto, prova a stringere i rapporti con la figlia e propone alle due di rimanere ancora per un anno a Campobasso a spese sue, così da far terminare la scuola a Denise. Ma Cosco ha in mente di vendicarsi. E infatti, la mattina del 5 maggio avvisa Lea dell’arrivo di un tecnico per controllare la lavatrice che, in realtà è un sicario. Insospettita, Lea riesce a scampare all’aggressione, aiutata anche dalla figlia Denise che, casualmente, quella mattina non è a scuola perché non si sente bene. È proprio la figlia ad allertare i carabinieri denunciando il tentativo di rapimento. Si scopre, poi, che il sicario è tale Massimo Sabotino, pagato dai Cosco 25mila euro per rapire e sciogliere Lea nell’acido. Nel furgone a noleggio, infatti, vengono ritrovati anche i fusti contenenti il liquido.

Il 20 novembre 2009 Lea e la figlia si trovano a Firenze, perché la donna deve testimoniare a un processo. Scoraggiata e triste per non potersi permettere nemmeno di comprare un maglione che la figlia desidera, Lea chiama Carlo per chiederle di mantenere Denise. L’ex compagno le chiede di salire a Milano, così da far incontrare la figlia con i cugini e per parlare del mantenimento di Denise. Nonostante l’avvocata Enza Rando la implori di non andare, Lea sceglie di fidarsi, sicura che in una grande città come Milano e per di più in compagnia della figlia non le accadrà nulla. Per tre giorni la famiglia sembra riunita e serena ma è solo un inganno. La sera del 24 novembre madre e figlia passeggiano serenamente all’arco della Pace. 

Ad un certo punto del pomeriggio, Denise viene invitata dal padre a casa dello zio. Nel frattempo, dà appuntamento a Lea per parlarle e lei accetta ma al momento dell’incontro Carlo rapisce Lea e la porta con la forza in un appartamento di piazza Prealpi 2, zona nord di Milano. Lì la picchia e poi la strangola. Nell’appartamento ci sono anche Vito Cosco e Carmine Venturino che traportano il corpo su un terreno a San Fruttuoso dove viene disciolto nell’acido. Subito dopo l’omicidio, Carlo si cambia e torna a prendere la figlia dagli zii raccontandole che Lea ha chiesto dei soldi e se ne è andata. Denise non crede che la madre l’abbia abbandonata e chiede al padre di andare dai carabinieri. Durante la denuncia, nonostante non siano passate 24 ore dalla scomparsa, i militari si accorgono che la ragazza è in panico, mentre l’uomo ha un atteggiamento noncurante e strafottente. E infatti, decidono di indagare. Chiedono a Denise di non allontanarsi dal padre, per cercare di carpire informazioni utili e lei, allora, resta con lui stringendo, nel frattempo anche una relazione con Carmine Venturino, proprio l’uomo che ha distrutto il corpo della madre. Ma lei ancora non lo sa.

Le indagini per la scomparsa di Lea proseguono fin quando nel 2010 Carlo Cosco, i fratelli Giuseppe e Vito Cosco, Massimo Sabatino, Carmine Venturino e Rosario Curcio vengono arrestati con l’accusa di aver sequestrato, torturato e ucciso Lea Garofalo la notte del 24 novembre. Il processo comincia il 6 luglio 2011 ma la data di scadenza della custodia cautelare del gruppo è il 28 luglio, cioè dopo qualche giorno. Il processo rischia di saltare, perché il presidente della Corte Filippo Grisolia ha, intanto, ricevuto la nomina a Capo di Gabinetto del Ministro della giustizia Paola Severino.

La nomina di un nuovo giudice rischia di far saltare tutto. A quel punto, l’associazione Libera decide di manifestare contro quell’ingiustizia e appoggia Denise, che deve testimoniare contro suo padre. Il gruppo riesce a fare clamore e ad attirare l’attenzione della Presidente del tribunale, Livia Pomodoro che nomina immediatamente la sostituta Anna Introini. La nuova giudice, quindi, stabilisce un fitto calendario di udienze e il processo riesce ad andare avanti senza intoppi. La sentenza di primo grado arriva il 30 marzo 2012 e condanna all’ergastolo Cosco Carlo, Cosco Giuseppe, Cosco Vito, Curcio Rosario, Sabatino Massimo e Carmine Venturino. Tutti vengono accusati di omicidio e soppressione di cadavere, anche se la tesi della difesa è ancora che Lea sia scappata in Australia. Al processo, nonostante la gravità delle accuse, non viene applicata l’aggravante mafiosa.

Qualche mese dopo Carmine Venturino confessa ai pm quanto accaduto a Lea Garofalo quella notte e, quando il 9 aprile 2013 si apre il processo d’appello, anche Carlo Cosco confessa tutto. Non solo ammette l’omicidio della moglie, ma rivela che tutto il piano è opera sua, anche la scelta di sciogliere il corpo nell’acido. Qualche mese dopo anche Carmine Venturino, ex fidanzato di Denise, racconta di quanto accaduto, delle condizioni di Lea nell’appartamento di piazza Prealpi e delle azioni per distruggerne il corpo. Denise resta scioccata dalla rivelazione e accusa un malore. Alla fine, Il processo si conclude con l'ergastolo per quattro degli imputati e venticinque anni di carcere per Carmine Venturino.

La storia di Lea Garofalo e le vicende processuali legate alla sua morte restano sconosciute a quasi tutti per gran parte degli anni. Solo Libera e un giornale online antimafia, infatti, seguono l’iter giudiziario denunciando anche l’atteggiamento della Corte che per tutto il processo non parla mai di ‘Ndrangheta. Per lo Stato italiano, infatti, Lea Garofalo non è ufficialmente una vittima di mafia ma lo è per tutti coloro che, nel tempo, hanno conosciuto la sua storia. Alla fine del processo di appello, tutti i media italiani si rendono conto della portata della vicenda e cominciano a raccontare del coraggio di Lea e Denise, due donne che hanno vinto la paura e hanno lottato fino alla fine contro la mafia. Lea e Denise sono, oggi, esempio di quella forza femminile in grado di arrivare alla verità e alla giustizia.

Il 19 ottobre 2013 la città di Milano decide di celebrare pubblicamente i funerali di Lea Garofalo e alla funzione accorrono centinaia di persone. Il suo corpo viene poi deposto al cimitero Monumentale di Milano, insieme ad altri persone che hanno onorato Milano. Il 7 dicembre dello stesso anno la città di Milano ha voluto dedicare l’ambrogino d’oro a Denise, che intanto vive sotto protezione testimoni, e ai ragazzi di Libera che hanno tenuto viva l’attenzione sul processo e sulla storia di Lea.

Oggi, a via Montello, proprio al muro del palazzo in cui ha vissuto, c’è una targa: a Lea Garofalo, testimone di giustizia, vittima di ‘ndrangheta, morta per la dignità e la legalità. Di fronte, invece, c’è un giardino a lei dedicato, mentre in piazza Prealpi c’è a lei dedicata una panchina rossa, come memoria per le donne vittime della violenza cieca degli uomini.

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