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Roberto Saviano, la camorra e la forza delle parole

di Hafez Haidar

La camorra non è una semplice organizzazione criminale che copre un piccolo territorio o un degradato quartiere di periferia di una grande città come Napoli, ma un impero radicato sulla corruzione e sulla violenza fisica e mentale. È il male del nostro secolo: dove germogliano i suoi malefici frutti, serpeggiano morte, violenza, malavita, paura e disperazione.
Tramite l’intrigo, l’inganno e l’intimidazione, i boss accumulano ricchezze, controllando lo spaccio della droga, la prostituzione, la produzione di merci contraffatte, gli appalti pubblici e privati e lo smaltimento di rifiuti tossici.

La camorra ha ormai radicato i suoi tentacoli al centro e al Nord d’Italia, ma anche all’estero e in particolar modo in Spagna, Germania, Scozia, Giappone, Colombia, Paraguay e Cina. I camorristi investono il loro denaro sporco nell’acquisto di beni mobili e immobili, tentando in tal modo di rendere lecite le proprie azioni agli occhi della legge.

Di solito, i boss impartiscono ordini irrevocabili ai capi di zona e ai loro affiliati, costringendoli a uccidere un rivale scomodo oppure a incendiare le sue proprietà. Le loro reclute, di solito, sono minorenni poveri disposti a vendere l’anima al diavolo pur di arricchirsi, circondarsi di belle ragazze, disposte a tutto. Sono loro i veri esecutori di omicidi atroci e spietati; il loro trofeo, ad opera compiuta, è la macchina di lusso oppure la moto di grossa cilindrata.

In questo clima segnato dall’ingiustizia, dall’infamia e dalla malavita, si alza solenne il grido di Roberto Saviano, un giovane napoletano che si schiera contro i camorristi, portatori del male e ambasciatori della morte. Egli chiede a gran voce giustizia e le sue parole diventano un’arma tagliente contro coloro che amano il male, portatori di disgrazie e di sciagure.” Riflettevo su come sono paradossalmente attraenti i nomi dei luoghi di criminalità più atroce: non è forse bello e leggiadro chiamarsi Casal di Principe, dove regna la camorra? Oppure Filadelfia, terra di feroce ’ndrangheta? Oppure Corleone, fino a non molto tempo fa importante crocevia di mafia? È imperdonabile è che nessuna di queste tre cittadine fosse un borgo povero, ma al contrario piuttosto prospero e fiorente.”

È proprio così, nei luoghi dove abitano i ricchi malfattori non succedono di solito omicidi, le loro abitazioni sono sicure e protette.

Nel suo La parola contro la camorra Roberto Saviano afferma che l’unico mezzo per far conoscere le storie di coloro che hanno subito ingiustizie e hanno patito a lungo la disperazione è la parola, con l’ausilio della quale riusciremo ad abbattere le barriere della paura e delle tenebre per far sorgere la vita e l’amore: ”Spesso mi si chiede come sia possibile che delle parole possano mettere in crisi organizzazioni criminali potenti, capaci di contare su centinaia di uomini armati e su capitali forti. E come è possibile – questa domanda mi viene ripetuta spessissimo, soprattutto all’estero – che uno scrittore possa mettere in crisi organizzazioni capaci di fatturare miliardi di euro e di dominare territori vastissimi? È complicato dare una sola risposta e, in verità, l’unica risposta che mi viene in mente, la più plausibile è che sia proprio la diffusione della parola a mettere paura. Non è lo scrittore, l’autore, non è neanche il libro in sé, né la parola da sola, che riesce ad accendere riflettori e per questo a mettere paura.”

Saviano pone gran fiducia nel lettore, che assume il ruolo di ambasciatore della giustizia e della libertà, oltre che di diffusore di parole - strumenti pericolosi contro i malavitosi.

“Ogni lettore che fa sua una storia, ogni lettore che protegge un libro, che osserva, che ascolta, sta facendo moltissimo. Sta facendo moltissimo perché permetterà a quell’autore di continuare a lavorare e soprattutto contribuirà a diffondere le sue parole, a renderle strumenti pericolosi. Anche criticando, anche non condividendo, anche facendone semplicemente argomento di discussione, farà sì che le tante vicende avvolte dall’ombra possano diventare invece storie degne di essere raccontate, che i tanti morti diventati semplicemente un numero possano tornare a essere persone, che i molti sogni rimasti a margine, possano tornare a essere possibilità reali”.

Roberto Saviano, nato a Napoli il 22 settembre 1979, si è laureato in Filosofia all’Università degli Studi di Napoli Federico II. Giornalista e saggista, dopo il suo esordio con il famoso Gomorra, nel 2006, riceve minacce da parte dei cartelli camorristici nella piazza di Casal di Principe durante una manifestazione per la legalità. Da quel momento è scortato dalla polizia giorno e notte e ha perso la libertà di vivere serenamente. L’anno seguente scrive contro coloro che hanno reso la sua vita una gabbia senza sbarre: “Fanculo il successo. Voglio una vita, ecco. Voglio una casa. Voglio innamorarmi, bere una birra in pubblico, andare in libreria e scegliermi un libro leggendo la quarta di copertina. Voglio passeggiare, prendere il sole, camminare sotto la pioggia, incontrare senza paura e senza spaventarla mia madre. Voglio avere intorno i miei amici e poter ridere e non dover parlare di me, sempre di me come se fossi un malato terminale e loro fossero alle prese con una visita noiosa eppure inevitabile. Cazzo, ho soltanto ventotto anni!”.

Il suo primo romanzo Gomorra, edito da Mondadori, è stato tradotto in oltre 50 paesi ed è diventato un bestseller con 10 milioni di copie vendute nel mondo. Il libro è un viaggio realistico, coinvolgente, pieno di colpi di scena e di suspense nel mondo criminale della camorra in Campania, a Napoli, Casal di Principe, San Cipriano d'Aversa, Casapesenna, Mondragone, Giugliano, luoghi dove Roberto Saviano è cresciuto e dei quali fa conoscere al lettore un’inedita realtà macchiata del sangue degli innocenti.

Una realtà fatta di ville lussuose, di boss spietati e sanguinari, di una popolazione che non solo è connivente con questa criminalità organizzata, ma addirittura la protegge e ne approva l'operato: ”Da nord verso sud i clan riescono a drenare di tutto. Il vescovo di Nola definì il Sud Italia la discarica abusiva dell’Italia ricca e industrializzata. Le scorie derivanti dalla metallurgia termica dell’alluminio, le pericolose polveri di abbattimento fumi, in particolare quelle prodotte dall’industria siderurgica, dalle centrali termoelettriche e dagli inceneritori. Le morchie di verniciatura, i liquidi reflui contaminati da metalli pesanti, amianto, terre inquinate provenienti da attività di bonifica che vanno a inquinare altri terreni non contaminati…..Il meccanismo dello smaltimento illecito parte da imprenditori di grosse aziende o anche da piccole imprese che vogliono smaltire a prezzi irrisori le loro scorie, il materiale di risulta da cui più nulla è possibile ricavare se non costi. Al secondo passaggio ci sono i titolari di centri di stoccaggio che attuano la tecnica del giro di bolla, raccolgono i rifiuti e in molti casi li miscelano con rifiuti ordinari, diluendo la concentrazione tossica e declassificando, rispetto al CER, il catalogo europeo dei rifiuti, la pericolosità dei rifiuti tossici.
I chimici sono fondamentali per ribattezzare un carico da rifiuti tossici in innocua immondizia. Molti forniscono un formulario di identificazione falso con codici di analisi menzognere.
Poi ci sono i trasportatori che percorrono il paese per raggiungere il sito prescelto per smaltire, e infine ci sono gli smaltitori….Elementi necessari nel far funzionare l’intero meccanismo sono i funzionari e dipendenti pubblici che non controllano, né verificano le varie operazioni, o danno in gestione cave e discariche a persone chiaramente inserite nelle organizzazioni criminali. I clan non devono fare patti di sangue con i politici, né allearsi con interi partiti. Basta un funzionario, un tecnico, un dipendente, uno qualsiasi che vuole far lievitare il proprio stipendio e così, con estrema flessibilità e silenziosa discrezione, si riesce a ottenere che l’affare si svolga, con profitto per ogni parte coinvolta.
I veri artefici della mediazione però sono gli stakeholder. Sono loro i veri geni criminali dell’imprenditoria dello smaltimento illegale dei rifiuti pericolosi. In questo territorio, tra Napoli, Salerno e Caserta si foggiano i migliori stakeholder d’Italia. Per stakeholder si intende – nel gergo aziendale – quelle figure d’impresa che sono coinvolte nel progetto economico e che con la loro attività sono direttamente, o indirettamente, in grado di influenzarne gli esiti.
Gli stakeholder dei rifiuti tossici erano ormai divenuti un vero e proprio ceto dirigente. E non era raro sentirmi dire nei periodi di marcescente disoccupazione della mia vita: «Sei laureato, le competenze ce le hai, perché non ti metti a fare lo stake?»”.

Hafez Haidar,  Accademico emerito e scrittore

14 maggio 2015

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