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Esther Mujawayo (1958)

sopravvissuta al Ruanda, insegna a non odiare e a superare i traumi della guerra

Nata nel 1958 a Gitarama, in Ruanda, Esther Mujawayo è una psicoterapeuta e una scrittrice.

Durante i terribili cento giorni del genocidio dei tutsi del 1994, Esther perde tutta la sua famiglia. Il marito viene ucciso dai suoi stessi studenti hutu nella scuola in cui ha insegnato per anni. La sorella viene uccisa insieme a suo marito e ai suoi figli. La madre e la nonna vengono spogliate ed esposte al sole per fare morire di sete. Lei è l’unica sopravvissuta, insieme alle sue figlie. Si trovava infatti in congedo di maternità quando tutti i suoi colleghi tutsi sono stati uccisi durante una riunione.

“Sono stata fortunata - ha dichiarato in un’intervista - perché sono sopravvissuta senza mai subire un colpo di machete, ma come sono sopravvissuta? Come non sono stata colpita? Non lo so, è un miracolo. Non mi sono ammalata di Aids perché non sono stata violentata, ma rappresento il 5% delle donne che non hanno subito violenza, perché le altre che sono sopravvissute al genocidio hanno contratto l’Aids e ora stanno per morire”.

Esther sente di avere una responsabilità importante, quella di una sopravvissuta. Sa che il suo compito è quello di dare parola a chi non ha più la possibilità di parlare. Diventa così la portavoce delle vittime, iniziando una battaglia per la memoria e la giustizia.
E la memoria è anche quella di quanti sono intervenuti per aiutarla.
L’esercizio di questo tipo di memoria, di questa forma di gratitudine, diventa una terapia per ritrovare la serenità.
Certo, ricorda i giorni in cui la maggior parte degli hutu la considerava “un insetto da schiacciare”, ma ricorda con ancor più vigore di quella signora anziana che l’ha nascosta insieme ai miei figli, o del soldato che, di fronte al rifiuto di ospitare Esther da parte di un gruppo di suore di un convento, impugnò la pistola e costrinse le religiose ad aprire le porte.
“Sono andata a trovare la vecchia signora e le ho chiesto perché lo avesse fatto. La sua risposta è stata lapidaria: perché eravate degli esseri umani!A lei ho dedicato il mio primo libro”.
Esther ha infatti raccontato la tragedia del genocidio in due libri-testimonianza, scritti insieme alla giornalista francese Souâd Belhaddad: "SurVivantes" e "Le fleur de Stéphanie” (Il fiore di Stephanie, Edizioni e/o 2007).

Nel luglio del 1994 Esther fonda un’associazione di donne vedove, AVEGA, che ha come scopo quello di aiutare le donne sopravvissute, in particolare quelle che sono state vittime degli stupri. "Creando AVEGA, abbiamo dato un nuovo significato alle nostre vite. Abbiamo imparato a piangere insieme e abbiamo imparato a ridere di nuovo", racconta Esther. Le donne si sono rese conto che quello che stavano provando non era follia, ma la conseguenza di un trauma.

Oggi Esther vive in Germania, si occupa del trauma psichico post bellico dei rifugiati e insegna ai giovani a combattere l’odio. “Si inizia con cose di poco conto, con delle piccole sciocchezze che però si possono aggiungere una dopo l’altra, e alla fine si può arrivare anche al genocidio”.

Torna spesso in Ruanda, e nel 2005 si è trovata faccia a faccia con gli assassini di sua sorella e dei suoi nipoti per scoprire dove fossero stati gettati i loro corpi senza vita. Ancora non ha deciso se cercare le persone che hanno ucciso suo marito.

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coloro che hanno saputo reagire con comportamenti di aiuto, di soccorso e con atteggiamenti comunque solidali sono tanto più degni di considerazione e di rispetto, in quanto si staccano da una folla di persone che non hanno saputo o voluto agire e reagire

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