
Amelia Ceruti
Testimonianza di Daniela Da Riva, figlia di Amelia Ceruti, 28 gennaio 2014
Amelia Ceruti rimase vedova nel 1936, casalinga, con debiti e con due figlie a carico, una di sei mesi e l'altra di dieci anni. Essendo esperta nel lavoro con la macchina da cucire (confezionava abiti per sé e le sue sorelle), intraprese una piccola attività con una operaia per produrre biancheria per signora. In poco tempo a questa produzione aggiunse anche quella di tessuti, dando lavoro ad una decina di operai.
Quando iniziarono le persecuzioni razziali, Amelia nascose nel seminterrato della villetta in cui abitava, a Milano, un certo signor Mitrani, che vi rimase fino alla fine della guerra.
Amelia era molto attenta a non tradirsi e soprattutto a non farsi prendere alla sprovvista da eventuali contrattempi. Sicché, quando una notte degli ufficiali fascisti vennero a prelevarla a casa per sottoporla al riconoscimento di un perseguitato, si rifiutò di uscire col coprifuoco, adducendo come motivazione che era madre di due bambine e non se la sentiva di abbandonarle da sole in casa. I fascisti allora le intimarono di presentarsi il mattino dopo all'Hotel Regina. In quel luogo trovò ad attenderla, dietro una grande scrivania, alcuni ufficiali nazisti. Era lì presente accovacciato su una sedia un suo vecchio cliente di Genova, ebreo, di nome Polacco (nome che per ovvie ragioni era stato cambiato in Albertazzi). Amelia si sentì gelare il sangue nelle vene, ma non perse la lucidità. Con aria sorpresa disse al conoscente: "dottor Albertazzi, che ci fa lei qui?", confermando implicitamente che il nome (falso) dell'uomo fosse proprio Albartazzi.
Gli ufficiali le credettero - anche se accompagnarono la loro accettazione del riconoscimento con parole ironiche e allusioni maliziose - e lasciarono libero il dottor Polacco.
Di sera alla chetichella arrivavano nel laboratorio di Amelia decine di ebrei, che lì si riunivano per scambiarsi informazioni e decidere il da farsi. Di queste persone mi sono rimasti impressi i nomi Collodoro e Rossetti. Probabilmente erano commercianti che producevano calze di seta.
Alla fine della guerra Amelia ricevette una lettera di ringraziamento da Parigi. Dopo che ebbe finito di leggerla, disse sorridendo: "Come sono gentili! Mi hanno scritto dall'Istituto ebraico di Parigi per ringraziarmi" e, sempre sorridendo, stracciò la lettera.
Io, sua figlia, all'epoca del fatto avevo circa otto anni.
Gariwo ringrazia Daniela Da Riva per il prezioso materiale fornito alla redazione
Segnalata dalla figlia Daniela Da Riva
Giardini che onorano Amelia Ceruti
Amelia Ceruti è onorata nei Giardini di Grumello Cremonese e Marina di Campo - Scuola secondaria di primo grado di Marina di Campo.
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