
Ettore Barzini nasce a Milano nel 1911. Figlio del noto giornalista Luigi Barzini senior e fratello di Luigi junior, nel 1924 segue la famiglia a New York, dove finiti gli studi liceali, nel 1932 si laurea a Cornell in agraria. Appassionato di botanica, intenzionato a non seguire le orme paterne e a tenersi alla larga da una famiglia ingombrante, si specializza nella coltivazione delle banane, e dapprima lavora in Jamaica, poi, sbarca in Somalia (1935), a Merca, dove dirige una piantagione per conto della SABI, una società privata. Con la nascita della RAMB, il monopolio banane voluto da Mussolini, Ettore, carattere mite, ma testardo, si scontra con la direzione fascista non tollerando la mentalità fascista fatta di incompetenza, razzismo e carrierismo. Viene progressivamente emarginato, tolto dalla piantagione e relegato in un ufficio. Chiede allora l’assegnazione di uno dei lotti di terra distribuiti dal governo, ma non avendo la tessera, gli viene rifiutato. Sempre più malvisto, viene trasferito a Genova e poi licenziato.
Tornato a Milano, nel 1943 si adopera, per conto dell’impresa edile dell’amico Maurizio Malgioglio, alla messa in sicurezza degli edifici bombardati, salvando molte vite e meritandosi una medaglia al valore civile del Comune. Menzione e meriti civili vengono inutilmente rivendicati dal padre al momento dell’arresto. In quei frangenti conosce un gruppo di architetti, fra cui Lodovico Barbiano di Belgiojoso e Gian Luigi Banfi, anch’essi coinvolti negli stessi salvataggi, e grazie a loro entra in Giustizia e Libertà, braccio armato del Partito d’Azione, sotto il comando di Leopoldo Gasparotto. È il compimento di una lunga maturazione anti-fascista nata in Somalia e continuata in Italia, nei difficili anni della guerra che lo vede sul fronte opposto del padre, convinto mussoliniano.
Dopo l’8 settembre l’attività clandestina diventa pericolosissima, la città è presidiata da repubblichini e SS. Gasparotto è uomo che non conosce paura, e malgrado sappia di essere sorvegliato, non si sottrae, né sottrae i suoi uomini, fra cui Ettore, ad azioni sempre più rischiose. Spionaggio, trasporto di armi, uso di radio ricetrasmittenti, famiglie di ebrei e ricercati politici aiutati a passare il confine, i rischi si moltiplicano. La conseguenza è l’arresto, il 10 dicembre, di un gruppo nutrito di membri dell’organizzazione. I resistenti sono subito tradotti a San Vittore e sottoposti ai terribili interrogatori di Saevecke, molto abile nel farli “cantare”. Rinchiuso nella cella 73 del I raggio, numero di matricola 875, Ettore viene impiegato all’ufficio pacchi del carcere. Una fortuna. Avendo la possibilità di passare da un braccio all’altro, trasmette quotidianamente messaggi che, nella necessità di coordinare le versioni “confessate” negli interrogatori, sono di vitale importanza. Inizialmente le SS non avevano trovato Ettore, ma il padre andò al posto suo e venne tenuto in ostaggio per un pomeriggio. Ettore, per tirare fuori il padre, che in realtà non rischiava nulla, si presentò. Non voleva che qualcuno pagasse un prezzo, anche il più piccolo, per colpa sua.
Il 27 aprile 1944, insieme al suo gruppo, Ettore viene caricato su un carro merci, destinazione il campo di Fossoli, in Emilia. Ettore é il numero 281. Insieme a una cinquantina di amici e compagni, si installa nella baracca 18, che diventerà per mesi “la casa degli intellettuali”, cuore di Fossoli, luogo di accese discussioni politiche. Grazie all’autorità di molti di loro, nel campo viene stabilita una forma di contro-potere che rende la vita più tollerabile, i soprusi polizieschi o della malavita vengono rintuzzati, e migliorano alimentazione e igiene. Con competenza di perito edile Ettore lavora alla ristrutturazione del campo, e per un breve periodo si illude, insieme agli altri, di una prossima liberazione. Ma il barbaro assassinio, invano tenuto nascosto, di Gasparotto, il 22 giugno, seguito dalla strage del Cibeno di 67 detenuti, molti dei quali appartenenti alla Baracca 18, toglie ogni speranza. Ettore è stato sottratto all’ultimo momento dalla lista dei fucilandi solo perché indispensabile, come capomastro, ai lavori nel campo. Il 5 agosto viene caricato, con Belgiojoso e Banfi tra gli altri, su un vagone blindato per Bolzano, smistamento per la Germania. Il convoglio 73 porterà 307 prigionieri a Mauthausen, poi al sottocampo di Gusen, I e II. Muore di stenti e malattia all’ospedale del campo il 13 marzo 1945. Sugli ultimi mesi della sua vita non si è potuto sapere nulla con certezza. È stato tra quelli che sono stati trasferiti brevemente a Auschwitz, che era in demolizione, il 3 dicembre 1944, per essere riportato a Mauthausen il 29 gennaio con la nota “marcia della morte”.
Andrea Barzini, regista
Giardini che onorano Ettore Barzini
Ettore Barzini è onorato nei Giardini di Civitavecchia e Nichelino.