Una lapide affissa tanti anni fa su uno dei muri perimetrali della terrazza del Ponte Vecchio, a Firenze, racconta la straordinaria storia di un uomo che ebbe un ruolo decisivo nel salvataggio del ponte dai bombardamenti nazisti durante la Seconda guerra mondiale. Un uomo che - mettendo a rischio la sua stessa vita – usò il proprio ruolo istituzionale anche per salvare molti abitanti della città dalla furia del Terzo Reich: Gerhard Wolf, console tedesco a Firenze in quegli anni. Nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1944, per ritardare l’avanzata degli Alleati, i nazisti in ritirata dalla città fecero saltare i cinque ponti sull’Arno, tra cui l’antico Ponte Santa Trinita. L’unico che risparmiarono fu il Ponte Vecchio, anche se al costo della distruzione dei prospicienti quartieri medievali. Insieme al cardinale fiorentino Elia Dalla Costa, il console Wolf si era impegnato a lungo per far rispettare al comando tedesco la dichiarazione secondo la quale Firenze sarebbe stata considerata “città aperta”, salvaguardando il suo patrimonio storico-artistico dalla distruzione. Ma il 29 luglio i nazisti avevano affisso sui muri della città un’ordinanza che intimava agli abitanti di sgomberare una vasta area intorno all’Arno “in vista di attacchi nemici ai ponti”. Fu spiegato che si trattava di una misura precauzionale per evitare rischi alla popolazione civile: in realtà fu il preludio delle esplosioni che tra le 22 del 3 agosto e le 5 del mattino del 4 agosto distrussero i ponti del centro cittadino insieme a una ventina di palazzi, una dozzina di torri e decine di case, lasciando senza un tetto circa 150mila persone. Furono pesantemente danneggiati i punti d’accesso a Ponte Vecchio, le zone di via Por Santa Maria, Borgo San Jacopo e via Guicciardini. Il ponte, invece, fu risparmiato. Wolf riuscì a impedirne la distruzione e con esso salvò anche il Corridoio Vasariano, facendo leva sul fascino che i due monumenti avevano suscitato in Adolf Hitler durante la sua visita a Firenze nel 1938. In quella circostanza, alla presenza di Mussolini e degli alti gerarchi fascisti, erano stati aperti i tre finestroni panoramici al centro del Corridoio per consentire ai visitatori di ammirare gli scorci più spettacolari sulla città. Sei anni più tardi, però, il ricordo di quella visita non sarebbe bastato a salvare il ponte dalla distruzione se non vi fossero state le insistenze del console, che ne sminuì l’importanza strategica. Wolf fruttò al massimo le sue abilità diplomatiche per raccontare ai suoi connazionali una grande bugia, poiché il Ponte Vecchio era tutt’altro che irrilevante ai fini bellici ma al contrario, avrebbe giocato un ruolo decisivo nella liberazione di Firenze. Nei giorni che seguirono il bombardamento dei ponti, il suo corridoio sopraelevato rappresentò infatti l’unico modo per attraversare l’Arno. I partigiani e i membri del Comitato di Liberazione Nazionale lo usarono per mettersi in contatto con gli alleati stanziati in Oltrarno e per raggiungere il centro della città, portando con sé cibo, armi e documenti.
Ma il salvataggio del ponte simbolo di Firenze fu soltanto l’ultima, e forse la più eclatante, opera che vide il rappresentante del Terzo Reich a Firenze contravvenire apertamente agli ordini dei vertici del regime nazista. La stessa lapide in sua memoria ricorda infatti che il console “fu determinante anche per il rilascio di perseguitati politici e ebrei nella drammatica fase dell’occupazione nazista”, riportando alla memoria il suo impegno in difesa delle tante persone che in quei mesi rischiarono di essere arrestate, deportate o uccise.
Nato a Dresda nel 1896, Gerhard Wolf era entrato in diplomazia prima dell’avvento di Hitler e si trovava già a Roma quando Hitler prese il potere. A poco a poco si rese conto dell’enormità dei crimini nazisti e all’inizio si illuse di poter esercitare un’influenza moderatrice sulle politiche del Terzo Reich. Le sue illusioni svanirono definitivamente in seguito all’invasione della Polonia. Come gli altri esponenti del corpo diplomatico, fu costretto anche lui ad aderire al Partito nazionalsocialista con la minaccia del richiamo in patria e del licenziamento immediato. Nel novembre del 1940 fu distaccato a Firenze e la prima cosa che fece, non appena prese possesso del suo ufficio al consolato tedesco, fu sostituire il ritratto di Hitler con una litografia di Goethe. Sarebbe rimasto nel capoluogo toscano fino al 1944 e durante i tragici mesi dell’occupazione nazista, invece di eseguire gli ordini, obbedì alla propria coscienza correndo gravi rischi personali per mettere in salvo non soltanto le opere d’arte, ma anche numerosi ebrei e prigionieri politici. In più occasioni, Wolf usò la sua posizione per salvare partigiani e cittadini non belligeranti dalla Gestapo e dalla polizia segreta nazista. Chiese e ottenne la scarcerazione di molte persone arrestate dalla banda di torturatori fascisti di Mario Carità e creò salvacondotti essenziali che impedirono la deportazione di decine di ebrei fiorentini. Il suo intervento immediato fu decisivo, ad esempio, per salvare tre docenti universitari che i nazisti avevano deciso di fucilare per rappresaglia dopo l’uccisione del filosofo Giovanni Gentile da parte dei partigiani. Ma il caso più noto che lo vide protagonista fu quello che riguardò il grande storico dell’arte statunitense Bernard Berenson, anch’egli destinato alla deportazione in quanto ebreo. Il famoso storico, ormai quasi ottantenne, si nascose in una villa fuori città e riuscì a salvarsi perché Wolf fece credere che fosse fuggito in Portogallo.
Alla fine della guerra, per ironia della sorte, Wolf si ritrovò internato insieme ai sicari e agli assassini delle SS, prima a Montecatini e poi a Salsomaggiore. Ma sia Berenson che altre personalità che erano state salvate da lui o avevano avuto modo di conoscere il suo impegno nei mesi dell’occupazione nazista, scrissero al capo della polizia militare alleata in Italia chiedendo il suo immediato rilascio. In una di esse, il direttore d’orchestra Vittorio Gui spiegava: “se durante l’occupazione tedesca ogni città italiana avesse avuto un tedesco come il console Wolf, ci sarebbero stati risparmiati tanti dolori e tormenti”. Nel 1946 Gerhard Wolf venne rilasciato e completamente scagionato da ogni possibile accusa. I fiorentini, in segno di gratitudine, lo soprannominarono “il console di Firenze” e gli concessero la cittadinanza onoraria nel 1955.
Riccardo Michelucci, giornalista