Julia era una donna semplice. Aveva tre figlie: Władysława (1929), Franciszka (1931) ed Elżbieta (1932). Mandava avanti il negozio di famiglia e la trattoria in un palazzo di recente costruzione a Stare Stawy, vicino a Oświęcim (Auschwitz). Quando scoppiò la Seconda guerra mondiale avrebbe potuto cercare di sopravvivere tranquillamente, rimanendo indifferente verso tutto ciò che accadeva nel Campo di Auschwitz-Birkenau. O poteva invece soccorrere i bisognosi, rischiando la sua vita e quella dei suoi cari. Assieme al marito decise per questa seconda opzione. La loro bontà, impegno e umanità furono impiegati per salvare molti esseri umani e alleviare la condizione di centinaia, se non migliaia, di vittime dell’inferno di Auschwitz. Per questo pagarono un altissimo prezzo.
Già nel 1940 Julia si dette da fare per offrire generi alimentari ai prigionieri, soprattutto a coloro che uscivano dal Campo per lavorare. Organizzò a casa sua un punto di distribuzione di medicine. Trasmetteva messaggi, mantenendo un contatto tra i prigionieri e le proprie famiglie e tutto il mondo esterno. Collaborò nell’organizzare fughe dal campo di concentramento. Si addossò questo impegno a sostegno dei prigionieri per conto delle organizzazioni della resistenza dell’Armja Krajowa (“Esercito dell’interno”). In particolare lavorò per il Comitato di Aiuto ai Prigionieri Politici del Campo di Auschwitz (KNPWPOO). Organizzò un gruppo di donne che raccoglievano generi alimentari, medicine e vestiti pesanti.
Nel 1941 venne arrestata dalla Gestapo e rinchiusa nel carcere giudiziario di Auschwitz. Successivamente la trasferirono a Mysłowice. Durante gli interrogatori venne picchiata e torturata, ma non tradì e non fece nessun nome dei partigiani. Sopravvisse per miracolo e potette tornare dai suoi figli nel luglio del 1942. Suo marito, Władysław Ilisiński, sospettato anche di possedere armi e una radio, fu anche lui inizialmente portato nel Campo di Auschwitz e poi in carcere a Wadowice. Là, il 12 ottobre 1942, dopo quasi un anno passato agli arresti, venne ammazzato.
Dopo la fine della guerra Julia e i figli ottennero una casa confiscata ai tedeschi. Visse comunque in condizioni assai difficili, non ricevendo nemmeno una pensione. Con l’aiuto dei salesiani riuscì a far studiare i figli.
La storia di Julia Ilisińska e della sua famiglia è una manifestazione dell’umanità quando viene messa alla prova: un esempio di come si possa non essere indifferenti verso il destino di un altro essere umano. Riconoscendola come Giusta, si ricordano anche con riconoscenza quegli abitanti di Oświęcim (Auschwitz) e dintorni che non chiusero gli occhi dinanzi al dramma che si consumava oltre il filo spinato del Campo di Auschwitz-Birkenau: oltre duecento famiglie locali sacrificarono le proprie vite per degli “sconosciuti” in nome dell’umanità, della difesa della vita e della dignità.