Dita Kraus, Editorial Planeta, 2007
Una biblioteca ad Auschwitz, formata da pochi volumi custoditi da una giovane di 14 anni. È ciò che narra il romanzo del giornalista Antonio Iturbe, La bibliotecaria de Auschwitz, basato su una vicenda realmente accaduta.
Dita Kraus, ebrea nata a Praga e attualmente residente in Israele, si trovò a svolgere il ruolo di bibliotecaria dopo la sua deportazione ad Auschwitz. Nel dicembre 1943 i capi delle SS decisero di aprire una sezione speciale all’interno del campo nella quale le condizioni di vita fossero apparentemente migliori, per poter dimostrare agli occhi del mondo e delle organizzazioni umanitarie che le notizie riguardanti Auschwitz non erano veritiere.
Da imbroglio nacque imbroglio. Un gruppo di ebrei detenuti in questa sezione trasformò il blocco 31 in una scuola clandestina in cui i bambini studiavano mentre i genitori lavoravano. Grazie all’aiuto dell’ebreo tedesco Fredy Hirsch il blocco 31 venne dotato di alcuni libri, requisiti ai prigionieri e poi comprati al mercato nero interno al campo.
Dita custodiva i libri e li distribuiva il giorno successivo. Si trattava di otto volumi, tra cui un atlante, una grammatica russa, un libro di algebra e qualche romanzo. Non era molto, ma erano libri, simbolo di un tempo meno oscuro in cui, scrive Iturbe, “le parole suonavano più forti delle mitragliatrici”.
L’esperienza della piccola biblioteca era destinata a concludersi. Nel luglio 1944 infatti i prigionieri del blocco 31 vennero inviati alle camere a gas o deportati al campo di Bergen-Belsen. Dita rientrò in quest’ultimo gruppo, ma dovette lasciare ad Auschwitz i libri della sua piccola biblioteca.