
I fratelli Odoardi e, al centro, Jolanda
Storia segnalata da Laura Tedeschi, autrice di questa testimonianza, il 21 febbraio 2018
Erano sette…sei sorelle e un fratello, la ricchezza più grande di Enrico e Teresa Odoardi, una coppia che viveva in zona Salaria in un appartamento all’ultimo piano con un grande terrazzo.
Adriana, Andreina, Maria, Francesco, Giuseppina, Antonietta e Anna Maria: questi i loro nomi, una squadra di bambini di età veramente vicina tra loro. Quando entrarono in vigore le leggi razziali del 1938, i bambini furono purtroppo furono, quindi, testimoni dei primi rastrellamenti. Forse fu l’orrore di vedere uomini trascinati via dentro le camionette a sconvongerli, ma fu l’allontanamento di alcuni compagni di classe a scatenare in loro un senso di smarrimento e impotenza. Fu soprattutto il distacco da tre sorelle (Jolanda, Gisella e Giuditta Cesana) a spingerli a parlare con i loro genitori, i quali, qualche giorno dopo, radunarono la famiglia e spiegarono che una delle sorelle, Jolanda, sarebbe venuta a vivere con loro e che bisognava nasconderla da chi le voleva male.
Tutti i fratelli si unirono in una complicità senza eguali, ognuno con le proprie capacità per ciò che poteva, tentando di difendere l’amica e di farla passare per una delle sorelle Odoardi.
Nei pomeriggi estivi di molti decenni dopo, ai nipoti e pronipoti che della guerra avevano solo sentito parlare, Antonietta raccontava gli episodi vissuti durante le deportazioni. L’immagine più divertente è quella della tattica che avevano adottato per uscire: a turno una delle sorelle rimaneva a casa in modo che a scendere le scale, con le teste protette dai foulard, fossero sempre in sei, così da non creare sospetti nella portiera (che temevano potesse denunciarli ai fascisti).
Jolanda rimase così nascosta in casa per alcuni anni, vivendo una nuova quotidianità, imparando le abitudini familiari delle sue amiche. Le sorelle quando andavano a messa, portavano l’amica con loro: le avevano anche insegnato le basi delle preghiere cristiane in modo da potersi confondere meglio e difendere in caso di una ispezione. Se sentivano le sirene della polizia, aiutavano Jolanda a nascondersi in una stanzetta separata dall’appartamento dove in realtà vivevano due delle sorelle oppure la nascondevano nella stanza dei cassoni dell’acqua.
In questo, che le zie raccontavano sempre come un gioco, furono tutti molto bravi. Nessuno nel quartiere, infatti, si accorse della “figlia in più”. Jolanda riuscì a salvarsi restando nascosta fino alla fuga delle truppe tedesche da Roma e alla liberazione.
Per la famiglia fu sicuramente un’esperienza difficile, ma che, a giudicare dai racconti dei ragazzi Odoardi, aveva arricchito l’amicizia con le sorelle Cesana trasformandola in una fratellanza profonda. Essendo tutti molto giovani non pensarono mai ai pericoli che correvano, forse anche grazie a quei genitori che facevano finta di non dar peso alla serietà della situazione, consapevoli di non essere gli unici a esporsi in questo modo in un’epoca in cui aiutarsi aveva ancora un senso naturale. Fu normale, infatti, aiutare una famiglia uguale alla loro, amici di quartiere che si trovavano in pericolo. Fu scontato accogliere Jolanda così come altre famiglie avevano accolto le sue sorelle. Quando anni dopo si chiedeva loro di raccontare quei momenti lo facevano accompagnando con grandi risate persino i racconti di guerra, e se veniva chiesto loro quanta paura avessero provato, alzavano le spalle perché, per loro, tutto ciò fu quasi un dovere, sintomo di una banale e ordinarissima fraternità.
Gariwo ringrazia Laura Tedeschi per il prezioso materiale fornito alla redazione
Storia segnalata da Laura Tedeschi
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