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Lodovico Targetti (1902 - 1971)

accolse nella sua villa gli ebrei in fuga, spesso accompagnandoli verso il confine con la Svizzera

Lodovico Targetti nacque nel 1902 in una famiglia della borghesia toscana, che verso la fine dell’800 si trasferì a Milano, realizzando nella vicina Desio un’importante realtà industriale, un lanificio che dava lavoro a oltre 1000 operai e che produceva per il mercato nazionale ed europeo. Era diretto dal padre Raimondo, presidente della Confederazione Italiana dei Lanieri, che fu anche senatore liberale del Regno d’Italia. Lodovico però era idealmente più vicino alle idee dello zio Ferdinando. Ferdinando Targetti era un noto avvocato penalista che nel 1924 difese i figli di Giacomo Matteotti nel processo contro i suoi assassini e che divenne uno degli esponenti del partito socialista, contribuendo nel 1946-48 alla stesura della nostra Costituzione.

Lodovico ben presto affiancò il padre nella produzione industriale e tra le due guerre si recava frequentemente in Inghilterra, dove con amarezza metteva a confronto la libertà di cui godeva il popolo inglese con il soffocante clima del Regime, la democrazia delle istituzioni britanniche con l’oscurantismo totalitario del fascismo. Nel 1938 Mussolini varò le vergognose leggi sulla razza e due anni dopo precipitò il Paese in una guerra catastrofica. Fu allora che Lodovico iniziò a raccogliere intorno a sé una cerchia di amici e simpatizzanti con lo scopo di prepararsi, intellettualmente e culturalmente, ad una nuova Italia che sempre più si iniziava a sognare.

Poi venne l’8 settembre e, con l’invasione tedesca del Paese, si capì che per i tanti ebrei che già cercavano di sopravvivere in un infame sistema discriminatorio, si sarebbero aperte le porte dell’inferno. Lodovico, che ormai amministrava in prima persona il lanificio, dovette fare una scelta. Non era più il tempo dei dibattiti clandestini sulla natura del regime e delle cene tra amici a immaginare un futuro di giustizia e libertà. Occorreva fare qualcosa.

A causa dei bombardamenti alleati su Milano, Lodovico si era frattanto trasferito sul Lago di Como, a Villa d’Este e qui conobbe Anita, una ragazza di vent’anni più giovane, se ne innamorò all’istante e nel giro di pochi mesi la sposò. Nonostante fornisse le stoffe all’esercito, era tenuto d’occhio in quanto sospetto “dissidente”, tanto che alla cerimonia vollero presenziare anche alcuni ufficiali tedeschi. A tempo di record edificò una villa a Moltrasio, che era a pochi chilometri dal confine svizzero e qui, nei crudi mesi dell’occupazione straniera, iniziarono a confluire, nel più completo segreto e con grande pericolo per tutti, molti cittadini ebrei, fuggiaschi dallo spettro della deportazione. Lodovico, che nel frattempo aveva aderito al Comitato di Liberazione Nazionale, li accoglieva nella villa, a volte li rifocillava, sempre li affidava a un gruppetto di partigiani, che lo avevano eletto a loro comandante politico, per essere trasportati attraverso le montagne, verso la salvezza. E in qualche caso, quando le circostanze lo permettevano e mettendo ancor più in gioco la sua sicurezza, li accompagnava personalmente per gli impervi sentieri della zona.

La condanna inequivocabile del fascismo e l’ostilità senza compromessi per l’invasore non gli fecero tuttavia scordare il senso del perdono e dell’umanità. Nei convulsi giorni successivi all’aprile ‘45, quando vendette e violenze accompagnarono la Liberazione, Lodovico accolse e protesse nella sua villa il Questore di Como, perché, nonostante avesse servito lo stato fascista, si era comportato con onore.

Con il ritorno della democrazia, Lodovico fu nominato sottosegretario al Ministero dell’Industria e gestì per qualche tempo gli aiuti americani del Piano Marshall, evitando rigorosamente di approfittarne per il suo lanificio, perché in tutta la sua vita non aveva mai mascherato il disgusto per la furbizia approfittatrice.

Quella villa sul lago, porto e rifugio per i perseguitati e inizio di un ardito percorso di salvezza verso il confine elvetico, c’è ancora. E forse sul retro della villa c’è anche una scala a pioli scavata nella roccia, perfettamente occultata tra le fronde, che era destinata ad assicurare la fuga in caso di irruzione dei nazi-fascisti; una scala che sarebbe stata negli anni a venire un gioco entusiasmante e un’occasione unica di insegnamento per i tre bambini che Lodovico e Anita, con il ritorno della libertà, avrebbero generato.

Segnalato dal figlio Riccardo Targetti

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