Il 18 maggio 1942 una folla di berlinesi si accalca nei pressi del Lustgarten, la grande area verde lungo il fiume che costeggia l’isola dei musei. Il Ministero della propaganda nazista guidato da Joseph Goebbels vi ha appena allestito una mostra anti-sovietica, per sostenere lo sforzo bellico della Germania contro l’Urss compiuto in nome del nazionalsocialismo. È il tardo pomeriggio, quando la calma apparente di quel giorno di primavera viene squassata all’improvviso da una serie di piccole esplosioni. Alcuni padiglioni espositivi prendono fuoco e una decina di persone rimangono lievemente ferite, prima che i pompieri riescano a domare le fiamme. È chiaro fin da subito che non si tratta di un incidente ma di un coraggioso atto di sfida nei confronti del regime hitleriano. Nei giorni successivi, per individuare i responsabili, la Gestapo lancia un gigantesco rastrellamento in tutta la città. La rappresaglia è rivolta in particolare contro gli ebrei. Centinaia di uomini e donne vengono arrestati e deportati ad Auschwitz, a Sachsenhausen e in altri campi di concentramento, dove molti vengono fucilati già al loro arrivo. La macchina della repressione nazista non ha difficoltà a individuare gli organizzatori dell’attacco: sono un gruppo di giovani lavoratori ebrei noti come la “banda Baum”, il cui leader, l’elettricista trentenne Herbert Baum, è tra i primi a essere rinchiusi nel carcere berlinese di Plötzensee. Morirà pochi giorni dopo, in seguito alle feroci torture subite in cella. Gli altri componenti della banda saranno quasi tutti condannati a morte. Tra loro c’è anche una giovane coppia di sposi poco più che ventenni: Heinz e Marianne Joachim. Si erano sposati alcuni mesi prima, nell’agosto del 1941, e insieme erano entrati a far parte della rete locale di resistenza coordinata da Baum. Nel piccolo appartamento di Heinz e Marianne si tenevano con cadenza settimanale incontri segreti in cui venivano pianificate le azioni di resistenza contro il regime nazista. I membri del gruppo redigevano volantini di protesta e lettere in cui denunciavano le condizioni dei soldati tedeschi al fronte. Altre volte, sfidando il coprifuoco, andavano a scrivere slogan anti-hitleriani sui muri della città. Una resistenza disperata ma tenace, messa in atto per sensibilizzare le coscienze e per offrire una possibilità di redenzione al popolo tedesco. Heinz Joachim venne arrestato insieme a Baum appena quattro giorni dopo l’attacco contro la mostra del Lustgarten. Due settimane più tardi la Gestapo prese anche sua moglie Marianne. Nata a Berlino il 5 novembre 1921, al momento dell’arresto Marianne Praeger Joachim non aveva ancora compiuto ventuno anni. Dopo aver terminato gli studi aveva iniziato a lavorare come educatrice in un orfanotrofio della comunità ebraica. Ma nell’estate del 1940 era stata costretta a lasciare quel lavoro per ingrossare le file della manodopera forzata a servizio dell’economia tedesca in tempo di guerra.
Il processo sommario contro suo marito, Heinz Joachim, durò appena un giorno. Fu condannato a morte per il suo ruolo all’interno del gruppo Baum e ghigliottinato il 22 agosto 1942. Marianne, invece, rimase in carcere più a lungo e fino all’ultimo sperò di salvarsi. Durante la prigionia le fu concesso di inviare una lettera al mese ai suoi genitori e alla sua sorellina Ilse, che un anno prima era stata inviata in Inghilterra con un “treno della speranza” della Croce Rossa. La sua corrispondenza è una breve, fatta di sole quattro lettere, ma testimonia la grande capacità di resistenza dell’animo umano, oltre alla forza dell’amore familiare. Nelle quattro lettere - che in anni recenti il Museo memoriale dell’Olocausto di Washington ha reso liberamente consultabili on-line (collections.ushmm.org/search/catalog/irn33630#?rsc=27392&cv=0) - Marianne Joachim prova a rincuorare i suoi genitori incoraggiandoli a non perdere la speranza, sebbene fosse ormai certa di non poter scampare all’esecuzione. Racconta di aver chiesto una copia del Faust alla biblioteca della prigione, di aver fatto amicizia con una coppia di ragazze polacche più giovani di lei che condividono la sua stessa cella. Ma infine, con il trascorrere dei mesi, si insinuano anche le note di realismo. “Non perdete la speranza, miei cari, e se non ci rivedremo più, allora cercate di rassegnarvi a sopportare ciò che non può essere evitato”, scrive nella lettera datata 17 gennaio 1943. Alcune settimane dopo salirà sul patibolo. Poche ore prima ha il tempo di scrivere per l’ultima volta alla sua famiglia.
“Mia cara mamma, mio amato padre, quando riceverete questa lettera io sarò morta. Credetemi, ho conservato il coraggio fino all’ultimo istante. Sarei così felice di sapere che anche voi avete affrontato con forza il mio destino. Spero che riuscirete a conservarvi in salute con tutte le vostre forze e possiate provare la gioia che un tempo avete desiderato invano per me. Ho scritto questo testo che vi prego di far avere alla mia dolce sorellina tramite la Croce Rossa.
'Amata sorellina, non diventare mai una persona come le altre, che si interessa solo al cibo e ai piaceri della vita. Ricorda sempre la canzone che cantavamo insieme’. Auguro ogni bene a tutti voi. Un ultimo bacio, Marianne”.
Poi, rivolgendosi di nuovo ai suoi genitori:
“siate forti perché dobbiamo separarci. Vi mando un ultimo abbraccio e, ancora una volta, vi prego di pensare a Ilse e di essere coraggiosi per il suo bene. È soltanto per voi che trovo difficile lasciare questo mondo, altrimenti non avrei niente da perdere”.
Quando viene decapitata, il 4 marzo del 1943, Marianne Joachim non ha ancora compiuto ventidue anni. Pochi giorni dopo la sua morte, la vendetta nazista si sarebbe abbattuta anche contro i suoi familiari. Suo padre e sua madre furono deportati prima ad Auschwitz e poi a Theresienstadt, da dove non fecero più ritorno. La stessa sorte toccò anche a suo suocero, Alfons Joachim, che morì nel campo di concentramento di Sachsenhausen nel dicembre 1944. Soltanto la madre di Heinz Joachim - unica non ebrea – riuscì a sopravvivere. Le lettere di Marianne sono arrivate a noi perché i suoi genitori, prima di essere deportati, le affidarono al cognato di Heinz, che dopo la guerra le diede alla piccola Ilse, sorella di Marianne. Nel 1981 un memoriale è stato eretto all’interno del Lustgarten di Berlino per ricordare il coraggio di Marianne Joachim e degli altri giovani resistenti del gruppo Baum.
Riccardo Michelucci, giornalista