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Miep Gies (1909 - 2010)

aiutò la famiglia Frank e custodì il diario di Anna

Miep Gies nacque il 15 febbraio 1909 a Vienna, la capitale dell’allora Impero austro-ungarico, con il nome di Hermine Santrouschitz. La famiglia della giovane viveva da tempo in difficoltà economiche, ma dopo la fine della Prima guerra mondiale la situazione si aggravò drammaticamente per i Santrouschitz e diventò per loro impossibile prendersi cura della figlia. Per questo motivo, Hermine, che fin da bambina preferiva farsi chiamare “Miep”, venne inviata dai genitori nei Paesi Bassi attraverso un programma di aiuto per bambini austriaci (nel frattempo l’Impero si era disintegrato) provenienti da famiglie in difficoltà economica. Nel 1920 Miep arrivò a Leida, dove abitava la famiglia che aveva deciso di adottarla: i Nieuwenburg.

Era il 1924 quando i Nieuwenburg e Miep si trasferirono ad Amsterdam, dove la giovane iniziò a lavorare come dattilografa e incontrò Jan Gies, un assistente sociale del quale si innamorerà perdutamente e che sposerà nel luglio 1941. Ed è proprio ad Amsterdam che Miep fece un incontro che in principio sembrava una semplice opportunità lavorativa, ma che finì per l’essere molto di più: quello con Otto Frank, al tempo un semplice uomo d’affari nel settore alimentare e delle spezie. Dal 1933, infatti, Miep diventò un membro effettivo dell’ufficio di Otto alla Opetka con il ruolo di segretaria, diventando presto anche un’amica di famiglia. Per questo motivo, quando la famiglia Frank (Otto, la moglie Edith e le figlie Anna e Margot) capì che era il momento di nascondersi e darsi alla clandestinità, si rivolse per un aiuto proprio a Miep e suo marito Jan, che nel frattempo si era unito alla Resistenza anti-nazista che operava ad Amsterdam.

I due, insieme a Victor Kugler, Johannes Kleiman e Bep e Johan Voskuijl, accettarono immediatamente e svolsero un ruolo fondamentale nell’aiutare i Frank ed i loro compagni di clandestinità a stabilirsi nell’annesso segreto di Prinsengracht numero 263, così come nel portare loro quotidianamente carne e verdura (che non mancava mai grazie alle tessere annonarie false procurate da Jan). Ecco una testimonianza dell’8 luglio 1942 da Il Diario di Anna Frank: “Miep lavora con papà dal 1933 ed è divenuta una nostra intima amica, così come il suo novello sposo Henk [in realtà Jan. Anna solitamente cambiava i nomi di tutti i personaggi del suo Diario, anche se non cambiò mai quello di Miep]. Miep arrivò, mise in una borsa scarpe, vestiti, biancheria, calze, e li portò via promettendo di tornare la sera. Poi vi fu silenzio nella nostra casa; nessuno di noi quattro volle mangiare, faceva ancor caldo e tutto appariva tanto strano”.

E ancora, l’11 luglio 1943: “Miep lavora come una bestia da soma a portarci roba. Quasi ogni giorno scova da qualche parte della verdura per noi e se la carica sulla bicicletta in grosse borse da pesca”. Non solo cibo per la pancia, ma anche per la mente. Miep infatti portava costantemente libri agli occupanti dell’annesso segreto (“Chi vive normalmente non può sapere che cosa significhino i libri per noialtri rinchiusi. Lettura, studio e radio sono le nostre distrazioni”, scriveva Anna Frank nel luglio 1943), che prendeva dalla biblioteca locale. Faceva di tutto anche per sollevare loro il morale, evitando di raccontare le notizie peggiori riguardo a cosa succedeva all’esterno, portando regali (come un paio di scarpe con il tacco per Anna) e facilitando la corrispondenza con gli affetti rimasti fuori dalla clandestinità. È grazie a Miep, ad esempio, che Fritz Pfeffer, uno dei compagni di clandestinità della famiglia Frank e compagno di stanza di Anna, potè rimanere in contatto con la sua fidanzata Charlotte Kaletta.

Miep e Jan, inoltre, cercarono di aiutare più persone possibili: uno di questi era il 23enne Kuno van der Host, uno studente universitario che si era rifiutato di prestare giuramento di lealtà alle forze di occupazione tedesche e per questo motivo era ricercato. Trovò rifugio e protezione proprio a casa dei due sposi, fino a quando la situazione non diventò troppo rischiosa; a quel punto Kuno tornò dalla madre, continuò a nascondersi lì e sopravvisse alla guerra.

La figura di Miep Gies, dopo quel drammatico 4 agosto 1944 nel quale la Gestapo arrestò gli occupanti dell’annesso segreto, rimase legata al famoso Diario. Una volta venuta a sapere dell’arresto e dopo aver tentato un ultimo disperato tentativo andando in commissariato per chiedere il rilascio dei suoi amici, si recò all’appartamento che era stato il luogo della clandestinità con lo scopo di salvare almeno gli effetti personali delle persone che si erano nascoste lì. Perlustrando i locali, per terra trovò il Diario di Anna. Miep sapeva che la piccola Anna stava scrivendo delle testimonianze della clandestinità, tant’è che un giorno la interruppe mentre era intenta a scrivere. Su quell’episodio dirà in un’intervista:
"Mi lanciò uno sguardo che non dimenticherò mai. Sembrava furiosa, cupa. Poi Anna si alzò, sbatté il diario e mi guardò. 'Sì', disse, 'e sto scrivendo anche su di te.' Non sapevo cosa dire. L'unica cosa che mi venne in mente fu: 'Sono sicura che sarà bellissimo".

Prese con sé il Diario e lo conservò in un cassetto, senza leggerne neanche una riga e con la speranza di riconsegnarlo ad Anna dopo la fine della prigionia. Nel giugno del 1945, un mese dopo la liberazione dei Paesi Bassi e la fine della guerra, Miep e Jan incontrarono nuovamente Otto, l’unico superstite tra coloro che erano nascosti nell’annesso segreto. Otto andò a vivere con i due e, una volta che fu tristemente chiaro che Anna non sarebbe mai più tornata a casa, la donna diede il diario all’amico. Lo leggerà solo nel 1947, quando venne pubblicato per la prima volta. Da quel momento in poi, Miep ha passato la sua vita a portare la testimonianza di quegli eventi e dei suoi amici che non erano sopravvissuti al campo di concentramento, compresa Anna. Scrisse anche un libro di memorie, insieme alla scrittrice Alison Leslie Gold ed intitolato Si chiamava Anna Frank. È morta nel gennaio 2010, a 101 anni.

“Mentre erano nascosti l’unico mio desiderio era che finisse la guerra, che potessi entrare nel rifugio, spalancare le porte e dire ai miei amici: “Andate a casa!”. Ma le cose non andarono così. Magari, quando arriverà il momento in cui potrò unirmi a Jan e ai nostri amici nell’aldilà, sposterò la libreria, mi ci infilerò dietro, salirò per i ripidi gradini in legno, attenta a non sbattere la testa nel punto in cui il soffitto era basso e Peter aveva attaccato il vecchio asciugamano. Al piano di sopra, troverò Jan appoggiato al bordo del comò, le lunghe gambe distese, il gatto Mouschi tra le braccia. Tutti gli altri saranno seduti intorno al tavolo e mi saluteranno. E Anna, con la sua solita curiosità, si alzerà e correrà da me dicendomi: “Ciao Miep. Che mi racconti?”

Alessandro Colombini, storico

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