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Renato Villa (1916 - 2007)

l'uomo dei diamanti

Renato Villa sugli sci nel 1936

Renato Villa sugli sci nel 1936

Storia segnalata da Ilaria Villa

Una storia scoperta per caso, partendo da una vecchia fotografia. Ilaria Villa, insegnante di musica, ha raccontato a Gariwo la storia di suo padre Renato, conosciuto come “l’uomo dei diamanti” per via dei due anni trascorsi in un campo di concentramento a Zonderwater - in Sudafrica - dal 1941 al 1943. L’uomo, antifascista e partigiano, mise al servizio del prossimo le sue eccellenti doti di falsario e riuscì a salvare ebrei e antifascisti.

Renato Villa, nato nel 1916, si è spento nel gennaio 2007, a quasi 91 anni. “Qualche mese prima - racconta la figlia Ilaria - gli avevo chiesto di poter mettere per iscritto la storia della sua vita per i nipoti, che non l’avevano mai ascoltata”.
Ma Villa non aveva mai parlato di ciò che aveva fatto nel 1943. Ilaria sapeva che suo padre era un ottimo falsario, perché faceva la firma dei suoi superiori durante il servizio militare tra il 1936 e il 1938. Ha però deciso di conoscere più a fondo il passato di Renato quando l’uomo si è lasciato sfuggire una frase: “dovevi vedere quelli tedeschi”.

“Non c’è voluto molto a capire quali tipi di timbri stesse falsificando - ricorda la donna - non quelli di quando Italia e Germania erano alleate, ma quelli del periodo successivo”. Ilaria Villa stava per scoprire l’opera di salvataggio di suo padre. Ecco il racconto di Ilaria Villa:

“Ho trovato una foto di mio padre sugli sci nel 1936. L’hanno vista dei miei amici irlandesi, che hanno chiesto di poterla utilizzare per una mostra didattica su 100 anni di sport. È stato quindi fatto un volantino scolastico dell’evento, che passando di mano in mano è arrivato agli occhi di un mio allievo e poi a un vicino di casa che ha guardato il ragazzo e ha detto: ‘Io lo conosco, questo è l’Uomo dei diamanti’. Attraverso questa fotografia mio padre era stato riconosciuto come uno dei ragazzi di don Bussa.

Per qualche tempo ho dimenticato la faccenda. Un giorno però, ascoltando una partitura, mi sono rivista a cinque anni, con una scatola in mano. Dentro c’erano i timbri di mio padre: il monogramma con le sue iniziali, un timbro delle SS e uno della Wehrmacht. Dovevo saperne di più.

Tra i documenti di papà ho trovato un elenco dei commilitoni della Libia del 1941e un altro con gli indirizzi degli ufficiali dell’esercito britannico, ma nient’altro che parlasse del suo passato. Poi ho avuto un altro flash, mi sono ricordata di un quadernino con dei numeri e vari colori. Mamma non sapeva che fine avesse fatto, e io ho aspettato di essere da sola in casa per cominciare a cercarlo.

Ho quindi trovato una vecchia Enciclopedia Bompiani e una griglia colorata con dei numeri.. Quella che mi ricordavo. Ho fatto in tempo a ricopiare quello che c’era scritto, e poi la carta si è sbriciolata. Tramite un conoscente che si occupa di crittografia sono riuscita a capire cosa fosse: era la classica griglia che si appoggia su un libro per far comparire determinate parole. Per avere un testo di riferimento papà ha usato l’Enciclopedia Bompiani del 1938. Così è spuntato un elenco di nomi, i nomi di quelli che mio padre ha “trasformato” in ariani falsificando i loro documenti, e che quindi ha salvato tra l’ottobre 1943 e il dicembre 1944. Non so chi fossero o da dove provenissero quelle persone - nell’elenco si legge anche un nome polacco - ma spero che ce l’abbiano fatta tutti.

Accolto da don Eugenio Bussa al Patronato Sant'Antonio, nel 1943 mio padre si era unito ai combattimenti di Porta San Paolo contro i nazisti, e aveva poi scelto di dedicarsi alla falsificazione di timbri, documenti e certificati.

In seguito all'arresto di don Bussa dovette rallentare i lavori, che poi riprese in seguito alla liberazione del sacerdote per intercessione del Cardinale Schuster, arcivescovo di Milano. 

Un passo falso - o una delazione - attirò nuovamente l'attenzione dei nazifascisti su di lui nel dicembre 1944: secondo alcune testimonianze per papà era pronto un ordine d'arresto, ma fortunatamente la cosa non ebbe seguito”.


Perché suo padre non ha mai voluto raccontare la sua storia?

“Uno dei motivi per cui non l’ha mai raccontata è sicuramente quello che ha visto...Ci sono cose che non ha mai voluto dire neanche a mia madre, ad esempio com’era il campo di concentramento di Zonderwater. Inoltre papà aveva fatto suo l'insegnamento delle Scritture ‘non suonare la tromba davanti a te quando compi una buona azione’, e quindi penso che anche ora non avrebbe detto niente. Lui non ha agito per ottenere un riconoscimento, ma per seguire la voce della coscienza. Non pensava di essere un eroe facendo ciò che secondo lui era giusto fare.

Perché invece secondo lei è importante ricordare questa storia?

Per lo stesso motivo per cui Eisenhower costrinse la popolazione tedesca a guardare i campi di concentramento. Il generale ordinò ai suoi uomini di fotografare tutto affinché ci fosse testimonianza di quell’orrore. “Che si abbia il massimo della documentazione possibile - diceva - che siano filmati e fotografie, perché arriverà un giorno in cui qualche idiota si alzerà e dirà che tutto questo non è mai successo”. 

I sopravvissuti al nazifascismo ormai stanno diminuendo, data l’età, e la diffusione dei movimenti negazionisti in Europa è preoccupante. Penso quindi che, davanti a tutto questo, sia giusto rendere anche un piccolo tassello di Storia.

Gariwo ringrazia Ilaria Villa per il prezioso materiale fornito alla redazione.

Segnalato dalla figlia Ilaria

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