In uno dei libri di italiani sopravvissuti al campo di sterminio di Mauthausen ho letto un episodio di pochissime righe che mi si è conficcato nel cuore.
I prigionieri schierati rispondono all’appello, chi viene chiamato deve salire su un camion che aspetta al centro del cortile. Solo alcuni, quelli che sono lì da più tempo, sanno che quel camion porta a morire al castello di Hartheim, dove sono state impiantate le camere a gas. Quasi ultimo, risponde all’appello un ragazzo e si avvia sorridendo, noncurante e convinto che magari lo portino fuori di lì, a lavorare, chissà. Un uomo, uno che sa, lo guarda andare e di colpo esce dalle file, attraversa correndo lo spazio che lo divide dal camion, ferma il ragazzo proprio un attimo prima che salga e lo riporta indietro. Per qualche ragione che non ha dell’umano, le SS non si accorgono della manovra, il camion viene chiuso e riparte.
Dedico questo giorno a un giusto di cui non sappiamo il nome: ha compiuto un’azione votata quasi certamente alla morte seguendo l’impulso di un attimo. Non l’ha meditato, questo gesto, non ha avuto il tempo di pensarci sopra, ha agito d'istinto, ma il suo cuore e la sua mente dovevano essere talmente carichi di rabbia, forza, compassione e coraggio che quando è arrivato il momento, non si è tirato indietro. E che momento, una corsa verso il nulla, con alle spalle la vita, una corsa noncurante di chi pensa che a certi richiami della coscienza si debba rispondere senza esitazioni, costi quel che costi. Lo vedo volare con le mitragliatrici puntate alle sue spalle, acchiappare la mano del ragazzo, tirarlo via, e rientrare. Pochi secondi, che valgono due vite.