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Zagabri, gli ebrei jugoslavi scappati dall’Aprica in Svizzera

di Tatjana Dordevic

Durante la Seconda guerra mondiale la Svizzera è stata un rifugio per migliaia di persone, circa 50.000 profughi civili, in particolare oppositori politici e comunisti, ma soprattutto ebrei, slavi e zingari. Tra loro c’erano anche gli Zagabri ovvero 218 persone provenienti dalla Croazia dell'ex Jugoslavia, scappati dagli Ustascia e dal feroce regime fascista di Ante Pavelić.

C’era anche Vera Neufeld, all'epoca una ragazzina di sette anni, che era arrivata ad Aprica nel marzo del 1942 con la madre e la sorella maggiore, Lea. Non si ricorda molto di quel viaggio, ma ha dei ricordi particolari dei giorni passati nel campo di Aprica. “Ci sentivamo come se fossimo stati in vacanza, mentre nel resto d’Europa, quasi tutti gli ebrei erano già stati portati nei campi di concentramento", racconta Vera.

Ovviamente, da ragazzina non aveva un’idea chiara del perché i nazisti volessero sterminare tutti gli ebrei, ma si ricorda bene il giorno in cui vennero a prendere suo padre. A Zagabria, la capitale della Croazia, il Paese complice delle truppe nazi-fasciste, un giorno di aprile nel 1941, i militari degli Ustascia, arrestarono suo padre, Edo Neufeld, stimato avvocato ebreo. Insieme agli altri ebrei, soprattutto intellettuali, tra cui molti medici, avvocati, ingegneri, circa 78 maschi, venne portato in un centro di Gospić. Vicino a Jadovno, il campo di concentramento dove prima o poi finivano tutti prigionieri.

“Mi ricordo le lettere che mia madre riceveva da mio padre, in cui c’era scritta sempre solo una frase: Prendi i bambini e scappa in Italia”, racconta Vera. Lui rimase lì per quattro mesi e, grazie ad un cameriere che conosceva da prima e che in quel centro lavorava come guardiano, riuscì a salvarsi e scappare.

“Mio padre fu l’unico a salvarsi. Quel ragazzo, il cameriere, lo aveva nascosto nella soffitta di un panificio. Successivamente, riuscì a scappare in Italia ed arrivò ad Aprica. Noi, io, mia sorella e mia madre, arrivammo qualche settimana dopo. Mia nonna, invece, non volle partire con noi, e fu portata a Jasenovac (il campo di concentramento più famoso in Croazia), da cui non tornò mai più.”

Ci sono diverse teorie sul perché un Paese come l’Italia, che nel 1938 aveva emanato le leggi razziali che toglievano ogni diritto agli ebrei, ne accoglieva altri dalla vicina Jugoslavia dando loro anche un sussidio. Vera si ricorda i giorni belli ad Aprica e quelli a Sondrio dove fu trasferita con la sua famiglia, in quanto suo padre si ammalò e dovette curarsi nell'ospedale della città. “Vivevamo in una villa molto bella a Sondrio. Così eravamo potute stare vicino a mio padre. Tutti erano molto gentili con noi”, si ricorda.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943 seguito dall’invasione delle truppe nazi-fasciste nel Nord Italia, però, la situazione per lei e la sua famiglia, come per tutti gli altri profughi della Valtellina, si fece difficile e gli Zagabri dovettero tentare la via di fuga in Svizzera. “Provammo tre volte ad oltrepassare il confine. Camminammo per giorni finché non riuscimmo a entrare in territorio svizzero. Mi ricordo il momento del nostro arrivo. Fu un momento di grande sollievo, le guardie svizzere erano così tanto solidali da aiutarci a portare i bagagli verso la valle”, dice questa signora che oggi vive in Australia.

Quando la guerra è finì, nel 1945, tutti i profughi ricevettero il documento per lasciare la Svizzera. L’unica strada per la famiglia Neufeld era quella di tornare a Zagabria, da dove erano scappati. “Quello fu il momento più doloroso e non dimenticherò mai il ritorno nella mia città dove non c'era più la nostra casa che era stata confiscata. Vivemmo per un periodo a casa di una cugina, in una camera.” 

Era molto difficile integrarsi in una società a cui prima appartenevi e che poi ti aveva abbandonato per gli ideali che erano il dramma per l’umanità”, dice questa signora, oggi ottantenne, che ha vissuto anche in Germania per un periodo, prima di andarsene definitivamente in Australia negli anni ‘60.

In Germania ha studiato la lingua tedesca e francese, nelle quali si è anche laureata. In Australia ha lavorato come interprete. È stata per anni anche attiva presso un'organizzazione australiana Courage to Care come testimone dei sopravvissuti all’Olocausto. Oggi vive lontano da un luogo a cui non appartiene più, ma, finché poteva, tornava spesso nella sua città, Zagabria, per conservare i ricordi belli e anche quelli meno piacevoli, che sono la sua forza per una vita serena.

Perdonare non è facile, ma senza perdono non si può vivere felici. Io sono sopravvissuta e mi ritengo una persona felice per questo.”

Tatjana Dordevic, giornalista

16 febbraio 2022

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